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Opinioni / “Armi chimiche e popoli”

Dopo il trasbordo a Gioia Tauro, la neutralizzazione dell’arsenale di Assad sta avvenendo al largo di Creta. E’ un processo rischioso, mai tentato in un mare chiuso. Il commento inviatoci da una lettrice.

12 Luglio 2014 - 17:55

Cape_rayIl 2 luglio, nel porto di Gioia Tauro, in Calabria, è stato effettuato il trasbordo delle armi chimiche siriane dalla nave danese partita dal porto siriano di Latakia alla nave americana Cape Ray, sulla quale verrà poi effettuata la procedura di distruzione attraverso il processo di idrolisi.

La scelta del Porto di Gioia Tauro arriva in seguito al rifiuto da parte di Norvegia, Belgio, Francia e Albania! In Albania, nello specifico, non si trattò di una scelta di governo (o di partito) ma di una scelta di popolo.

Il 12 Novembre 2013 un flusso di gente si riversava per le strade di Tirana al grido: “ Yes, we can say NO” e “Albania is ours”. Ma come dimenticare che l’Albania ha un debito di gratitudine nei confronti dell’America, a causa degli eventi succedutisi in seguito alla Prima Guerra Mondiale? Come dimenticare il presidente Wilson che sostenne l’indipendenza albanese nel 1919-1920? Ma la storia non ha un solo volto e nelle guerre balcaniche l’America non ha di certo giocato un solo ruolo! Per cui, cercando di bilanciare meriti e colpe, direi che la statua in onore di Wilson a Tirana E Re possa bastare! Le armi chimiche non rientrano nei ringraziamenti!

In Italia anche si ha un debito di riconoscenza che risale al 1945, la fine della Seconda Guerra Mondiale e lo sbarco degli americani sulle coste siciliane. Probabilmente l’Italia ricorda più dell’Albania questo debito di riconoscenza, ma allo stesso tempo dimentica che a liberare l’Italia furono le lotte partigiane e che lo sbarco degli americani sigillò il patto tra potere americano e potere delle mafie sul nostro territorio.

I partigiani non si sono visti il 2 Luglio! Forse si sono trasferiti in Albania!

Adesso la situazione è cambiata. Adesso le armi chimiche navigano sul Mediterraneo in attesa del processo di idrolisi che le neutralizzerà. Un procedimento ad alto rischio tanto che prima di oggi è stato effettuato dall’esercito americano soltanto in una remota isola del Pacifico, la Johnston Island, mentre adesso verrà realizzata sul laboratorio portatile della Cape Ray, il Field Deployable Hydrolysis System , in aperto Mediterraneo . Il processo avviene a 2700 gradi Celsius e consiste nella decomposizione del gas mostarda e del sarin così che i materiali prodotti possano esser poi smaltiti come comuni rifiuti pericolosi. In realtà, durante il processo, avviene una continua dispersione di gas altamente tossici nonché l’unica fonte circa la garanzia che tra le armi chimiche non sia presente anche materiale esplosivo, viene dal governo siriano. Il prof Vaghelis Ghidarakos del politecnico di Creta ha affermato: “Le sostanze che devono essere distrutte sono eterogenee, sono sostanze utilizzate per la creazione di testate esplosive che rilasciano sostanze gassose, composti che contengono fluoro e cloro, velenosi ed estremamente tossici, insieme ad altre sostanze ignote che nell’operazione di idrolisi creeranno ulteriori residui pericolosi. Inoltre ci saranno anche rifiuti liquidi. Ci domandiamo quindi se tutto questo finirà nell’ambiente marino. In questo caso gli effetti interesseranno gli organismi marini e, nel peggiore dei casi, a livello locale porteranno a una necrosi biologica”

Questi sono i momenti in cui appare chiaro come Albania, Italia, Grecia etc siano solo etichette del passato.
La distruzione delle armi chimiche (e ricordo le parole di Davide Rossi: “In natura, nulla si crea e nulla si distrugge”) avverrà in acque internazionali, in un punto del Mediterraneo tra Italia, Libia, Grecia (sudovest di Creta) e Malta. Avverrà per la prima volta in un mare chiuso.

È adesso che il Mediterraneo, culla di scambio e incontro, deve mostrare la forza della sua identità. I popoli del Mediterraneo uniti non nel senso d’appartenenza alla terra quanto ai flussi incostanti del mare.

Lulu