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Opinioni / A meno 373 metri

Ripubblichiamo un commento dal sito AltreNotizie sulla vicenda dei minatori del Sulcis in lotta.

01 Settembre 2012 - 21:15

di Fabrizio Casari (AltreNotizie)

A meno 373 metri da terra le cose si vedono in maniera diversa. Si respira in maniera diversa, si lavora in condizioni bestiali, si strappano aria, gesti e rabbia come nessuno, 373 metri sopra, può nemmeno immaginare. Le paure di chi sta sopra sono rappresentate dai seicento chili d’esplosivo accatastato nelle viscere, quelle di chi sta sotto riguardano invece l’indifferenza di chi sta sopra.

A meno 373 metri non ci si preoccupa nemmeno dello spread sul rendimento dei Titoli di Stato o dei superbonus ai manager delle banche, semmai si respira ancora peggio quando si sente che la patrimoniale va bene ovunque, in Europa e nel mondo, ma in Italia no.

Il Sulcis è un pezzo d’Italia. Ci sono i problemi enormi del settore minerario che si aggiungono a quelli cronici della Sardegna, vittima del mancato sviluppo industriale prima e dei servizi poi. All’incapacità cronica di una classe dirigente inetta che ha visto crescere il numero dei disoccupati e le aree di abbandono, offrendo la regione all’attenzione mediatica solo a causa dello scorazzare di miliardari volgari sui loro panfili, come fosse la Sardegna niente altro che la Costa Smeralda del cafonal.

Dall’occupazione dell’isola dell’Asinara effettuata dagli operai della Vynils al blocco dell’aereoporto di Elmas, dalla manifestazione dei lavoratori dell’Alcoa ai minatori della Carbosulcis, in Sardegna le forme di lotta sono, più che altrove, contenuto della lotta stessa. Il livello della disperazione di un territorio che non offre lavoro e che non disegna nemmeno bozze di futuro, non consente ordinati tavoli sindacali con volti sorridenti e sobri lunch in favore di telecamere. In ballo c’è il destino di diecimila persone, che rischiano di rimanere senza lavoro in un’area già depressa e con seri problemi ambientali.

E se Stefano Meletti, delegato sindacale, a 48 anni e con due figli, per attirare l’attenzione pensa di doversi tagliare i polsi, è perché nessuno – partiti, governo, imprenditori – ha mai ritenuto di dover dare risposte rapide e convincenti.

La politica, come si può immaginare, si trova in superficie ed è distratta da altre emergenze, tipo la polemica tra Grillo, Bersani e Benigni o la famigerata legge elettorale, dove non si riesce a trovare la soluzione adatta per fare in modo che chi c’è continuerà ad esserci e chi non c’è è bene che continui a rimanere fuori.

Il presidente della Repubblica in una nota si è detto “partecipe delle ansie” dei minatori e, al momento, le sue parole, benché autorevoli, rimbombano nel silenzio che arriva dai palazzi romani e anche da quelli della Regione Sardegna. Rinvii, silenzi, rimandi: ci sarebbe bisogno di urgenza e decisione sul futuro del carbone italiano, ma sarebbe come pretendere che, d’un tratto, le diverse caste che banchettano sui resti del nostro modello sociale ed economico trovassero ragione alle loro strapagate poltrone.

Il governo, in particolare, come già con l’Ilva e ancor di più con la Fiat, fa spallucce o quasi; non ha nessuna idea che non sia quella della progressiva dismissione di ogni settore produttivo del paese e se, per colmo di sfacciataggine, a Taranto accusa la magistratura di voler fare la politica industriale (perché, il governo ha una politica industriale?), nel Sulcis non profferisce verbo.

Eppure sono in molti a ritenere che il carbone possa rappresentare uno dei volani principali per la riconversione ambientale dell’isola. I minatori di Nuraxi Figus chiedono il finanziamento del progetto che prevede l’integrazione della miniera con la centrale di stoccaggio dell’anidride carbonica del sottosuolo. Servirebbero impegno, investimenti e rigore nella spesa, programmazione e cultura imprenditoriale per permettere che Nuraxi Figus rappresenti un’opportunità di crescita per tutta la regione.

Serve un miliardo e mezzo da investire in otto anni e il concorso dell’Enel, che deve ridurre i costi dell’erogazione dell’energia per le aziende della zona del Sulcis, altrimenti mai competitive anche per i costi del trasporto delle merci, ben superiori a quelli dei competitors di altre aree geografiche. Con un miliardo e mezzo d’investimenti verrebbe garantita la produzione senza rischi d’inquinamento e la produzione potrebbe quasi triplicare.

Si riuscirebbe a ridurre sensibilmente il costo dell’energia e ne trarrebbero vantaggio tutte le aziende oggi in crisi proprio per non poter sostenere i costi della stessa. Sarebbe sufficiente applicare la normativa utilizzata per il fotovoltaico e le altre energie rinnovabili, non c’è bisogno di sforzi immani o di ricorrere al genio italico.

In Sardegna i minatori non hanno più né speranze, né tempo, né pazienza. Sarà bene che Bersani lasci stare Grillo e Renzi e parli chiaro a Monti, che c’è il rischio che finga di non capire. Sarà il banco di prova per il governo Monti e i partiti che lo sorreggono, quale che sia l’entità delle stampelle.

Chi capirà bene saranno i minatori della Carbonsulcis. Non hanno studiato alla Bocconi e non parlano con i bullet-point, ma sanno esattamente cosa si tenta di dire quando si argomenta di “compatibilità della finanza pubblica e di competitività internazionale”. Per loro, come dovrebbe essere per tutti, conservare il lavoro significa continuare a vivere e a far crescere i loro figli e riconvertire fa rima con rinnovare e ripartire. Per ora, la cronaca racconta che mentre Stefano Meletti si tagliava, Monti era a colloquio con la Cancelliera Merkel. Nuraxi Figus: chissà come si pronuncerebbe in tedesco…