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“Non è istinto naturale, è cultura patriarcale”

Le Mujeres Libres intervengono contro uno sticker promozionale di un tatuatore: pubblicità così “contribuisce attivamente a creare un immaginario in cui le donne sono sottomesse”.

15 Maggio 2017 - 12:24

“Di tatuatori, banane e pubblicità sessiste. Non è istinto naturale, è cultura patriarcale: il pompino ci piace solo se è consensuale” è il titolo di una nota che riceviamo dal collettivo femminista Mujeres Libres.

Scrivono: “Come molte e molti avranno notato, è da qualche mese che la zona universitaria e le strade adiacenti sono state sporcate dalla presenza massiccia di un adesivo vergognosamente sessista, che avrebbe lo scopo di pubblicizzare un tatuatore. Il disegno che campeggia su vari muri, e persino sulla pavimentazione dei portici, raffigura un bambino e una bambina: il maschietto, con un ghigno misto fra il sadico e il divertito, infila nella bocca di lei, con l’espressione tra il sorpreso e il sofferente, una banana; a suggellare la scena già largamente esplicita un’espressione: ‘natural instinct’. Questo il messaggio a cui il tatuatore in questione ha deciso di affidare la propria operazione di autopromozione: un gesto che iscrive nella categoria della presunta naturalità da una parte la predisposizione ovvia di chi è nata donna di concedersi a una forma fallica, dall’altra l’istinto di chi nasce uomo nel voler compiere questo atto, da cui scaturirebbe la sua legittimità naturale nel pretenderlo. Gesti che si richiamano alla metafora dominante banane/sesso orale, che di naturale non ha proprio nulla, ma che come tutto ciò che riguarda la sessualità e l’interazione fra le persone (di qualsiasi sesso) deve invece essere attuato sempre e solo in presenza del consenso esplicito, altrimenti si chiama violenza”.

Raccontano le femministe: “Sin dalla comparsa di questi adesivi sessisti, ci siamo fatte carico della situazione provvedendo a strapparli in ogni caso in cui fosse possibile o alla copertura con altri adesivi. Questa campagna di boicottaggio ha colpito il tatuatore tanto da spingerlo a cercare un confronto diretto quanto provocatorio con noi, nel corso del quale è stato a lui spiegato perché il suo adesivo fosse offensivo, e quanto fosse grave la sua diffusione sui muri della città. Dopo aver ribattuto con pallide argomentazioni (depoliticizzazione e presunta ingenuità), ha provato a sminuire la situazione, per poi mostrare un accenno di ragionamento, arrivando ad ammettere infine di aver compreso il messaggio esplicitamente sessista dell’adesivo da lui diffuso; si è così impegnato, poi, sotto nostro suggerimento, a fare una dichiarazione pubblica di scuse e a ad evitare in futuro altre campagne pubblicitarie di questo genere. Nei giorni successivi, però, al momento di essere messe in pratica, queste dichiarazioni sono state disattese, e il tatuatore è tornato sui suoi passi, risfoderando le stesse argomentazioni sminuenti della prima ora, e rincarando con altre molto offensive”.

Si legge in conclusione: “Riteniamo che la nostra campagna contro le pubblicità che strumentalizzano il nostro corpo, e che contribuiscono attivamente a creare un immaginario in cui le donne sono esseri umani sottomessi alla volontà del maschio, debba continuare in questo e in tutti gli altri casi, soprattutto contro chi ha un atteggiamento chiuso, pensa di non essere nel torto e si trincera dietro deboli giustificazioni di comodo. Riteniamo pericoloso che un discorso frutto di una cultura eterosessista millennaria venga diffuso e percepito come naturale, senza tenere conto delle soggettività partecipanti e dei loro desideri. Chiediamo dunque a chi vede in giro questo adesivo (o altre pubblicità sessiste) di coprirlo, invitiamo tutte e tutti a non farsi tatuare da sessisti, e tutti i tatuatori e le tatuatrici a non collaborare con nessuno di essi. Non è istinto naturale, è cultura patriarcale: il pompino ci piace solo se è consensuale”.