Culture

“Niguri”, uno sguardo sul villaggio Italia

Zic.it intervista Antonio Martino che presenta il microcosmo di S. Anna, bloccato tra abbandono istituzionale, diffidenza popolare e rifugiati dalle guerre.

10 Dicembre 2009 - 03:50

In occasione dell’anteprima nazionale del suo ultimo film, “Niguri”, prevista per il 10 Dicembre al Cinema dell’Antoniano di Bologna, incontriamo il filmaker indipendente Antonio Martino. Nato in provincia di Crotone, Martino è cresciuto professionalmente a Bologna, città nella quale ha frequentato il DAMS indirizzo cinema. Oltre a diverse collaborazioni con la regione Emilia-Romagna, il filmaker ha autoprodotto e girato alcuni documentari di grande interesse, soprattutto riguardanti temi di natura ambientale e sociale. Nella sua giovane carriera è riuscito a collezionare già numerosi premi, vincendo decine di festival in giro per il mondo. Nel 2007 è stato vincitore del prestigioso premio Ilaria Alpi con il film “Gara de Nord_copii pe strada”, che tratta la spinosa questione delle centinaia di bambini costretti dalla miseria a vivere per le strade di Bucarest. Un film che affronta il problema dell’inquinamento, “Pancevo_mrtav grad”, Antonio lo ha girato in Serbia, nella cittadina di Pancevo, a 15 km da Belgrado. Bombardata dalla NATO nel 1999 durante la guerra dei Balcani, Pancevo è oggi, con i suoi impianti petrolchimici fatiscenti, uno dei luoghi più inquinati d’Europa. Questo documentario, tra gli altri, ha vinto il premio Best Documentary al Planet in Focus Film festival di Toronto. Il Lago di Aral, in Uzbekistan, ha fatto invece da sfondo per “Be water, my friend”, un film girato nel 2009 sul rapporto dell’uomo con le risorse naturali ed in particolare con l’acqua: il documentario racconta la situazione dei pescatori della regione del Lago di Aral, bacino di enorme importanza nel passato ed oggi quasi del tutto prosciugato. Adesso, invece, un film sull’immigrazione e il CPA di Sant’Anna. Una riflessione attenta sulla situazione di attesa dei richiedenti asilo che vivono nel campo ed il loro difficile rapporto con la popolazione locale. Due mondi che si osservano, si sfiorano ma il cui incontro sembra essere ancora molto difficile.

D: Antonio, parlaci del tuo ultimo film, “Niguri”.

R: Innanzitutto devo dire che è stato un film molto difficile. Il tema dell’immigrazione è trattato in maniera continua da anni ormai e c’è sempre il forte rischio di ripetere cose già dette. Sant’Anna è un piccolo villaggio, di circa 500 abitanti, alle cui porte è operativo uno dei CPA più grandi d’Europa dove vivono al suo interno quasi 2000 richiedenti asilo provenienti dalle più disparate zone del mondo. Gli ospiti del campo sono liberi di uscire durante le ore diurne (decisione presa in seguito al clamore suscitato dalla protesta dei parlamentari di Rifondazione, Francesco Caruso e Haidi Giuliani, n.d.r) e questo comporta un’interazione obbligata tra gli immigrati e i residenti. Da un po’ di tempo a questa parte è scioccante per me vedere come una piccola realtà di provincia abbia subito le violente conseguenze della globalizzazione nel giro di così poco tempo. Mi sembra un meltin’pot forzato, una sorta di esperimento sociologico nel quale indagare come due mondi, così distanti tra loro, si percepiscano nel vivere a così stretto contatto. Sant’Anna è il mio villaggio, il luogo dove sono nato. Quand’ero piccolo mi annoiavo moltissimo, ci si conosceva tutti e, vederla così cambiata oggi, mi ha dato la voglia di approfondire le dinamiche di questi cambiamenti. Anche dal punto di vista tecnico in Niguri il registro è cambiato: il linguaggio di questo film è molto diverso rispetto ai precedenti. C’è una telecamera che si ferma più ad osservare, ad ascoltare e questo proprio perché la situazione di Sant’Anna è immobile. Da una parte ci sono i niguri, fermi ad aspettare, e dall’altra i santannesi, fermi nelle loro case perché hanno paura dei niguri.

D: Qual è la ragione che ti spinge a trattare temi che riguardano il sociale?

R: L’attenzione verso temi sociali ha le sue radici nel fatto di essere cresciuto in luoghi dimenticati da Dio e dalla politica, abbandonati, niguri a loro volta, posti strumentalizzati di cui ci si ricorda solo durante il periodo delle elezioni. Erano tante le cose che non mi piacevano, che mi facevano stare male e contro le quali volevo schierarmi. Poi, nel’96, sono arrivato a Bologna e sono entrato in contatto con diverse realtà, quali ONG e associazioni impegnate nel sociale. Questo era un periodo di grande fermento culturale in tutto il mondo, a cavallo della rivoluzione tecnologica che ha interessato il cinema. Nascevano numerosi movimenti, penso a quello di Seattle piuttosto che all’underground dell’elettronica e c’erano i centri sociali che anche al tempo funzionavano come veri laboratori delle culture indipendenti, luoghi in cui si potevano sperimentare e si acquistava sempre più confidenza con le prime tecnologie. La mia generazione, in fondo, è stata la prima ad usare il computer anche a fini produttivi.

D: A proposito dell’utilizzo dei primi computer, come giudichi l’evoluzione del cinema nell’era del digitale?

R: È solo grazie alla rivoluzione digitale che ho potuto fare film come “Gara de Nord”, “Pancevo_mrtav grad” e anche come “Noi Siamo l’aria non la terra”. Il cinema è in continua evoluzione e si è sperimentato molto, nell’era del digitale, soprattutto in termini di linguaggio.Prima del ’97 per girare un film c’erano determinati costi, serviva una stazione di montaggio lineare, delle super Betacam ed in generale materiale che comportava un certo budget di base. Oggi con una telecamera 3ccd puoi raggiungere una risoluzione accettabile e puoi raccontare una storia a costo zero. Ci sono poi degli altri vantaggi, oltre a quelli “economici”. Attraverso l’utilizzo di piccoli congegni si ha la possibilità di non aggredire il soggetto, di risultare quasi invisibile e di raggiungere una certa profondità nella descrizione dei miei personaggi. È ovvio che se ti presenti con una troupe, microfoni, luci e telecamere, potrà certamente venire un bel film, è chiaro, ma sarà un film diverso. Non solo: il bello è che poi torni a casa e con il personal computer puoi montare il tuo film. In questo senso, la prima vera rivoluzione fu proprio quella di poter copiare il filmato sul tuo computer attraverso il firewire cable.

D: Dei tuoi film mi hanno sempre colpito le musiche. Da cosa deriva la loro scelta?

R: Ho sempre fatto una profonda ricerca musicale. Molti dei miei film, quali “Pancevo”, “Be water, my friend”, “Gara de nord”, hanno sonorità elettroniche di grande impatto emotivo. Spesso ho usato musica IDM, irregolare, sincopata, quindi non le classiche musiche da film. Anche questo, probabilmente, deriva dalla scena underground che ho vissuto a Bologna. Inoltre ho un passato da VJ e le tecniche di mixaggio live hanno influito molto sui miei film, soprattutto in “Gara de nord” e “Pancevo”. In Niguri la musica è cambiata: innanzitutto devo dire che mi sono dedicato anch’io a fare qualche brano e per me questa è stata un’esperienza molto importante. C’è una colonna sonora meno elettronica rispetto ai miei film precedenti, una musica che risulta essere molto più emotiva. Per questo film ho iniziato una collaborazione con Leonida Maria, ex componente degli Joaurlo, che ha realizzato diversi brani e si è occupato dell’intera post produzione audio del film. Abbiamo avviato, inoltre, una collaborazione con Antonio Calzone, già autore delle musiche dei film di Giorgio Diritti, il quale ha curato la scrittura e l’esecuzione di alcuni brani. Spero di aver trovato il gruppo giusto, vedremo…

D: Una domanda banale: progetti per il prossimo futuro?

R: Un progetto molto importante al quale sto lavorando mi porterà a parlare nuovamente di bambini. Questo argomento mi interessa molto perché oggi ai bambini viene dedicata sempre meno attenzione. Voglio focalizzare l’attenzione su come vengano sempre  più aggrediti dalla pubblicità piuttosto che usati ai fini del marketing. Inoltre continuano le mie collaborazioni con la regione Emilia Romagna, il Link di Bologna, con il quale c’è in cantiere un progetto che riguarda il quartiere S. Donato, e con diverse ONG tra cui l’ARPA, grazie alla quale ho girato “Be water, my friend”.

Itchy and Scratchy per Zic.it