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Magazzino Gsi, ottenuto accordo sui salari

Cobas: “Giustizia ha prevalso”. Intanto, vittoria legale dell’Sgb sulla Regione, mentre l’Usb continua ad opporsi al contratto Gd e si prepara a contestare Fedeli. E la vertenza dei riders si fa spazio in Comune.

18 Gennaio 2018 - 10:10

“Entro fine gennaio 2018 lavoratrici e lavoratori del magazzino Gsi Interporto Bologna, che ci hanno conferito il mandato, riceveranno il pagamento delle intere somme contestate da noi Cobas ad Alma Spa: differenze salariali di ex Coop Logima e spettanze non pagate a fine appalto 30 06 2017. Grandi Salumifici Italiani paga a titolo di responsabilità solidale con Alma e Coop Logima!”. Lo riferiscono i Cobas Lavoro privato: “Giustizia ha prevalso, Gsi pagherà le intere somme, un risultato positivo non solo per la valenza economica (intere somme pagate) ma anche per quella simbolica, il cliente GSI ha riconosciuto la responsabilità in solido firmando direttamente con noi. Un atto che ci auguriamo sia un segnale positivo per la continuità dell’appalto, un segnale rivolto anche agli altri appaltatori (tutti realizzano alti profitti!) per farlo diventare la normalità dei rapporti sindacali, a favore di chi lavora nei magazzini e sui mezzi di trasporto, con fatica, turni continui notte/giorno, salute e sicurezza sempre a rischio”.

L’Sgb, intanto, può cantare vittoria per un risultato conquistato nei confronti della Giunta regionale, “costretta dal giudice a rispettare gli accordi sottoscritti, anche se il sindacato si chiama Sgb”. Racconta il sindacato: “Nel 2016 la Giunta della Regione Emilia-Romagna, a seguito della nostra partecipazione ai tavoli sul riordino delle società partecipate in house, firmò un protocollo con il quale, oltre ad impegnarsi sugli aspetti della riorganizzazione, si impegnava anche ad intrattenere relazioni sindacali con SGB in modo paritetico rispetto alle altre organizzazioni sindacali firmatarie dello stesso protocollo. Nel corso del 2017, la RER decise invece di escludere senza alcuna motivazione formale la Sgb dagli incontri sindacali, evidentemente considerandoci sindacato non allineato e non altrettanto malleabile e cercando di rendere in questo modo difficoltosa ad Sgb la relazione con i lavoratori delle società coinvolte nel processo di riordino. Nonostante le numerose sollecitazioni, l’assessore Pettiti e il direttore generale Frieri hanno continuato a negare il minimo livello di democrazia sindacale, accampando scuse non credibili con l’unico obbiettivo di escludere un sindacato considerato scomodo perché troppo vicino alle istanze dei lavoratori. Questo comportamento non ci ha certo intimidito ed abbiamo proseguito nella vertenza in difesa dei lavoratori di Cup 2000 con manifestazioni e scioperi. Inoltre, il 14 novembre le delegate ed i delegati Sgb hanno protestato dentro l’Assemblea Legislativa, srotolando uno striscione con la scritta No al fascismo sindacale e mettendo parecchio in agitazione alcuni esponenti della Giunta. In quella occasione, il direttore generale e l’assessore si presero l’impegno di convocare SGB per discutere delle relazioni sindacali; impegno puntualmente disatteso. Inviammo quindi una diffida legale alla quale, ancora una volta la RER non ottemperò. Depositammo quindi un ricorso legale al Tribunale del Lavoro e la Giunta, in evidente imbarazzo, il 9 gennaio scorso, in concomitanza con la prima udienza davanti al magistrato del lavoro, ha deciso di convocare Sgb in un apposito incontro sulle società in house. Il direttore generale e l’assessore, evidentemente non paghi della figuraccia, in tale occasione si sono però rifiutati di firmare un verbale con il quale si dichiarava superato l’oggetto del contendere impegnandosi a ripristinare i contenuti del protocollo e a convocare Sgb anche per il futuro”. Alcuni giorni fa “il giudice del lavoro ha dichiarato cessata la materia del contendere previo impegno da parte della RER ad adempiere al protocollo, contestualmente e parallelamente alle altre sigle sindacali, ed infine ha condannato la RER a liquidare le spese legali ad Sgb in 1.500 euro, oltre Iva, Cpa, e il 15% delle spese generali. Questa vicenda dimostra che è importante come sindacato Sgb non arrendersi mai e continuare lottare per i diritti dei lavoratori con qualsiasi arma si abbia a disposizione. Non è la prima volta che si tenta di escludere Sgb da trattative con un pretesto o una scusa campata in aria. L’ importanza di questa sentenza è fondamentale anche perché, implicitamente dichiara che la Regione Emilia Romagna è tenuta al rispetto integrale del protocollo d’intesa, e quindi anche a quello che riguarda la tutela occupazionale dei lavoratori delle società in house”.

Nel frattempo, continua in Gd la lotta dell’Usb contro il nuovo contratto aziendale firmato dalle sigle confederali dei metalmeccanici e approvato solo per pochi voti dai lavoratori. Nei giorni scorsi è circolato un volantino sindacale in cui la sigla di base, appreso “che l’azienda sta già procedendo nel sondare la disponibilità ad aderire alla sperimentazione dell’orario flessibile, come previsto dal nuovo contratto aziendale”, invita i dipendenti a non darsi disponibili. L’adesione alla sperimentazione, infatti, “è volontaria” e “chiediamo di segnalare qualsiasi forma di indebita pressione esercitata dai responsabili” invitando inoltre i lavoratori “a non aderire alla sperimentazione, in quanto la modifica dl questo importante punto del contratto sara’ richiesta dai delegati Usb nel corso degli incontri tecnici che l’azienda ha promesso di convocare a stretto giro”. Sui tavoli con l’azienda, infatti “verranno richieste le modifiche proposte nel programma elettorale, integrate dal contributo che i lavoratori hanno dato nel corso della assemblea sull’argomento”.

Sempre l’Usb, poi, lancia un presidio in vista dell’arrivo a Bologna del ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, che venerdì sarà in città per partecipare a “Futura”. Spiega il sindacato: “Si tratta di un’iniziativa del Miur realizzata con il Comune di Bologna per sostenere che si può innovare la scuola del futuro investendo un miliardo di euro nel Piano nazionale scuola digitale, un piano di investimenti in ambito tecnologico che viene venduto come la panacea per risolvere i mali della scuola pubblica italiana e svecchiarla con una patina di novità tecnologiche e inglesismi svuotati di senso. Le TIC sono divenute ormai a pieno titolo elemento sostanziale della didattica, ma soprattutto sono sempre più una grande fetta di mercato con un discreto giro d’affari che passa dalla carta del docente (un misero bonus annuale di 500 euro, un salario-finalizzato e non libero che non si può spendere per vivere, ma solo per consumare) e arriva all’acquisto di lavagne multimediali, fino alla formazione centrata sull’apprendimento mediato dalle tecnologie. Un tentativo di trasformazione forzata delle metodologie, della didattica, dell’apprendimento. E mentre la ministra Fedeli ci racconta di un futuro e di un cambiamento di cui la scuola si dovrebbe fare promotrice, noi le diciamo che c’è una sola cosa senza la quale non si può fare scuola: i lavoratori! Un paese che spende cifre astromiche in tecnologie, la cui ricaduta didattica effettiva è ancora da studiare, assiste in questi giorni al licenziamento di massa di 50mila maestri e maestre che rischiano di perdere il lavoro o tornare a lavorare da precari. Il prossimo concorso prevede per i vincitori un salario da fame nei primi due anni di servizio: dieci mesi all’anno con uno stipendio al di sotto dei 500 euro mensili. Il personale Ata attende l’aggiornamento delle graduatorie di istituto da mesi e continua a subire un immane aumento dei carichi di lavoro. I docenti esiliati dalla cosiddetta Buona scuola saranno non potranno tornare a casa a causa della mobilità-farsa che anche quest’anno prevede organici ridotti. A queste umiliazioni si aggiungono le indegne e liberticide proposte dell’Aran al tavolo negoziale per il rinnovo contrattuale. Il 19 gennaio all’evento ‘Futura’ saremo presenti anche noi per dirle a gran voce che pretendiamo stabilizzazione, assunzioni, salario dignitoso. Perché una scuola senza lavagne multimediali è sempre una scuola di qualità, cara ministra Fedeli, ma una scuola senza insegnanti e senza il personale Ata non potrà mai avere un futuro!”.

Infine, la mobilitazione dei ciclofattorini continua a farsi spazio in città costringendo l’amministrazione comunale a fare i conti con le rivendicazioni espresse negli ultimi mesi. Ieri il gruppo autorganizzato Riders Union ha avuto modo di illustrarle in commissione ai consiglieri comunali, dopo aver avuto qualche giorno prima un confronto con il sindaco Virginio Merola e l’assessore Matteo Lepore: a loro i fattorini hanno spiegato “la situazione che vivono come lavoratori e lavoratrici delle piattaforme di delivery, che hanno nelle strade il luogo stesso di lavoro. Una triplice condizione – di lavoratori/trici, utenti delle strade, cittadini/e – dalla quale partire per comprendere l’impatto del fenomeno del food delivery sulla città e su coloro che la abitano e vi lavorano. Non è assolutamente sufficiente infatti compiacersi o assistere da spettatori alla trasformazione di Bologna in ‘City of food’, ma è necessario assumere ad ogni livello la responsabilità di guidare questa trasformazione, contrastando le derive in termini di vivibilità e mancato rispetto dei diritti. Nel nostro caso, continuare da parte delle piattaforme a considerarci come ‘lavoratori autonomi’ non solo contraddice la realtà dei fatti, ma è un comportamento chiaramente illegittimo nel tentativo di comprimere le tutele e aggirare oneri previdenziali e assicurativi in capo alle imprese. In merito all’incontro dunque possiamo dire di aver riscontrato condivisione rispetto all’urgenza di affrontare questo tema da un punto di vista complessivo, politico e cittadino. Questo ha rappresentato però solo un primo passo, al quale deve necessariamente seguire la convocazione di un tavolo istituzionale con le parti in causa. È infatti imprescindibile che l’amministrazione comunale si schieri dalla parte dei propri cittadini-lavoratori e dimostri di voler spendere tutta la sua autorevolezza istituzionale per convincere tutte le aziende del delivery presenti in città a sedersi al tavolo ed avviare al più presto un serio confronto che abbia come obiettivo il legittimo riconoscimento della condizione di lavoratori e lavoratrici e di tutte le tutele che ne conseguono. La sfida rimane quindi quella di aprire una nuova stagione dei diritti per tutti, di segnare un perimetro oltre il quale non vi è più la dignità nel lavoro, ma solo sfruttamento e impoverimento, per le persone e la città stessa”.