Attualità

Ungheria / Il nazionalismo magiaro e l’onda nera europea

Il paese è la punta dell’iceberg di un ondata xenofoba, di esaltazione dell’orgoglio nazionale su base etnica, che colpisce l’Europa da est a ovest. Qualcuno, provocatoriamente, la chiama “Intifada di destra”.

17 Maggio 2011 - 11:46

tratto da http://scepsi.eu/it/italiano-lungheria-e-londa-nera-europea/

Quando il 1°gennaio 2011, l’Ungheria ha assunto la presidenza dell’Unione Europea, Amnesty International ha denunciato la contemporanea entrata in vigore nel paese di una legge sui mezzi di comunicazione e sulla libertà di stampa che non ha precedenti in Europa e che impone restrizioni a tutti i mezzi d’informazione (radiotelevisivi, cartacei, on line), conferendo inoltre ampi poteri a una nuova “Autorità sulle comunicazioni e sui mezzi d’informazione nazionali” (composta da cinque membri, nominati dal partito al potere, la Fidesz, senza nessun passaggio parlamentare).
Questa Autorità potrà imporre multe da 35.000 euro per i periodici fino a 730.000 euro per i mezzi radiotelevisivi per contenuti considerati contrari “all’interesse pubblico”, “alla morale comune” e “all’ordine nazionale”.

Non contento della “norma-bavaglio” sui media e del clima di censura che ha instaurato, il partito Fidezs del primo ministro Viktor Orbàn (che alle elezioni del 2010, grazie a una legge elettorale “maggioritaria”, col 52%, ottenne più dei due terzi dei seggi), ha deciso di riscrivere la Costituzione ungherese, imponendo una Carta in cui emergono discriminazioni formali per gay e minoranze etniche, riconoscendo solo i valori cristiani e il divieto d’aborto. Leggendo gli articoli del testo, sembra di essere tornati negli anni Venti e Trenta dell’Europa autoritaria, invece siamo nel terzo millennio e si tratta della nuova legge fondamentale di un paese che è presidente di turno dell’Unione europea e membro della Nato. Questi i “temi forti”: Dio e Patria, orgoglio della nazione etnica magiara; lo Stato non viene definito più come Repubblica ma nella sua essenza nazionale ed etnica; più poteri all’esecutivo per il controllo della magistratura e dei media; la Corte costituzionale vede fortemente ridotte le sue competenze specie in materia economica e sociale; un consiglio speciale della Banca nazionale, nominato dal premier, avrà diritto di veto sui temi di Bilancio.
Secondo il premier Orbàn, “con questa identificazione di fede nazionale i tempi in cui l’ungheresità era schiacciata sono passati”. Se qualcuno pensava che questi toni dannunziani potessero scuotere l’Unione Europea si sbagliava. Dalle parti di Strasburgo e Bruxelles non hanno battuto ciglio.

Gaspár Támás Miklós, filosofo della politica, una delle voci più allarmate tra gli intellettuali ungheresi, ha dichiarato in un’intervista: “Questa Costituzione combina in modo originale due elementi: un testo legale neo-conservatore, che sospende ogni diritto sociale, direi un sogno thatcheriano realizzato. Dal diritto al welfare al principio del giusto compenso, ogni traccia di giustizia sociale scompare per far posto a una sostanza fortemente anti-egualitaria. L’altro elemento è quello autoritario, che centralizza il potere nelle mani dell’esecutivo, ridimensiona gli organi di controllo, limita la libertà di espressione, ma riconosce il diritto a possedere armi da fuoco per ogni privato cittadino. In aperta contraddizione con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, i diritti non sono dichiarati come dati e naturali, ma sono condizionati a obblighi e compiti: per esempio, chiunque goda di un beneficio statale come la pensione o l’assistenza sanitaria, ne ha diritto solo se fa un’attività utile alla comunità, in base al giudizio dell’autorità statale. In altre parole, riduce il ruolo dello Stato nei rapporti sociali, ma lo aumenta a dismisura nel mantenimento dell’ordine”.

Sono in molti a prevedere (o, almeno, a sperare) che, nei prossimi mesi, in Ungheria ci saranno ribellioni e forme di resistenza contro un governo così deciso ed aggressivo nel liquidare ogni forma di libera espressione artistica e culturale, ma intanto, lo scorso 20 aprile, il partito nazionalista di estrema destra, Jobbik (i migliori), ha fondato una gendarmeria privata, “per la protezione della nazione dai nemici esterni ed interni”, usando il nome del famigerato corpo armato degli anni ’20, “Vedero”, quelli del cosiddetto “Terrore Bianco”.

Sempre il 20 aprile, la nuova rete televisiva privata “N1”, vicina a Jobbik, ha festeggiato il compleanno di Hitler (nato il 20 aprile 1889 a Braunau, in Alta Austria), presentandolo come una figura positiva della storia dell’umanità.

Jobbik è un partito, nato nel 2003, che ha raccolto il 16,7% dei consensi alle ultime elezioni politiche (46 seggi nel Parlamento di Budapest), affermandosi come terza forza politica ungherese. I suoi valori, mischiati a una forte retorica populista e a una spiccata xenofobia, si basano sull’esaltazione della patria, sull’orgoglio ungherese, sul nazionalismo a base razziale, sull’antisemitismo e sull’anticomunismo. Dopo aver picchiato duro per anni sulla “criminalità gitana” dei rom, dichiarando guerra anche alle lobby degli ebrei e dei comunisti, quando, dopo l’elezione,  il capo di Jobbik, Gabor Vona, si presentò alla prima seduta in Parlamento lo fece con l’uniforme nera della guardia magiara, un’organizzazione di stampo neofascista messa al bando qualche anno prima.

Nel 2008, poco prima delle elezioni europee (dove Jobbik ha ottenuto tre parlamentari), una delegazione dell’estrema destra magiara incontrò a Londra il leader del British National Party, Nick Griffin, per mettere in campo una cooperazione tra i due partiti.

Pur non facendo parte della maggioranza governativa, Jobbik è riuscito a spingere il premier Viktor Orban e il suo partito su posizioni sempre più ultra conservatrici.

L’ONDA NERA E NAZIONALISTA EUROPEA

Chi credesse che la situazione ungherese fosse un caso isolato si sbaglierebbe di grosso, quella magiara è la punta di un enorme iceberg che si sta riversando sul vecchio continente. L’onda xenofoba sta avanzando in diversi paesi, addirittura qualcuno, provocatoriamente, la chiama “Intifada di destra”.

Nella catena di vittorie alle competizione elettorali, l’ultima in ordine di tempo è quella riportata lo scorso 17 aprile in Finlandia dai “Veri Finlandesi” dell’ultranazionalista Timo Soini, una coalizione populista, euroscettica e di estrema destra che, raggiungendo sorprendentemente il 19%, ha fatto crollare il partito centrista di governo, mettendo una pesante ipoteca sulla politica europea di Helsinki e in particolare sul salvataggio finanziario del Portogallo.

Se scorriamo la piantina geografica, possiamo vedere come ad Est continuano a persistere movimenti neonazisti, che divulgano la simbologia del Terzo Reich, accompagnandola sempre più spesso con elementi di tradizione localistica. Insieme a questi, hanno sempre più successo le formazioni politiche che costruiscono il loro consenso attraverso retoriche populiste, fondate sull’antisemitismo, sulla discriminazione delle minoranze etniche, religiose (soprattutto l’Islam) e sessuali, sul fondamentalismo religioso, sulla guerra alla società multiculturale, sul nazionalismo estremo, sull’antieuropeismo. Sulla scia delle ideologie nazionaliste degli anni trenta, questi raggruppamenti si battono per un’identità nazionale etnico-religiosa e alimentano vecchi contenziosi territoriali e la questione delle minoranze fuori dalle loro frontiere, insediate nei paesi limitrofi.

In Slovacchia il Partito Nazionale Slovacco (SNS), radicalmente nazionalista, antieuropeista, antisemita e omofobo ma soprattutto antimagiaro, partecipa al governo di coalizione.

In Repubblica Ceca il Partito populista degli Affari Pubblici, dopo aver ottenuto l’11% dei voti e 24 seggi, ha avuto alcune poltrone nel governo di centrodestra: vicepresidenza, ministeri dell’interno e dei trasporti.

In Bulgaria c’è Ataka, una coalizione ultranazionalista, antisemita e antieuropeista che comprende il Movimento Nazionale per la Salvezza della Patria, il Partito Patriottico Nazionale Bulgaro e l’Unione delle Forze Patriottiche e dei Militari Riservisti. Questa formazione politica, che alle elezioni presidenziali del 2006 raggiunse il 21,5%, ha proposto il riconoscimento della religione cristiana ortodossa come religione di Stato e combatte contro i “privilegi” per le minoranze linguistiche presenti in Bulgaria, in particolare turchi e rom.

Il Partito della Grande Romania (Partidul România Mare, PRM) è un raggruppamento di estrema destra che ha fatto parte del gruppo “Identità Tradizione Sovranità”. Il suo leader è un personaggio grottesco, Corneliu Vadim Tudor. La pericolosità di questa formazione sta però nella presenza, tra le sue fila, di ex-ufficiali della Securitate, nella disponibilità enorme di fondi, nella gestione di un proprio servizio di informazioni e di una organizzazione paramilitare (sotto la copertura della organizzazione dei giovani del PRM). Tra gli obiettivi di questo vero e proprio partito fascista segnaliamo: la realizzazione di campi di concentramento e ghetti per la minoranza rom, la purificazione etnica attraverso l’eliminazione degli ungheresi dalla Transilvania, le persecuzioni antisemite, l’eliminazione degli intellettuali di origine ebrea dalla cultura romena, l’introduzione di un regime di dittatura militare, la riabilitazione del dittatore fascista Ion Antonescu. Fortunatamente il successo avuto dal PRM alle elezioni del 2000, quando arrivò ad essere il secondo partito rumeno con il 23%, si è ridimensionato nel 2008 con una caduta al 3% dei voti. Tra gli alleati all’estero del PRM  ci sono la francese Le Pen e il russo Zhirinovski.

In Polonia, l’estrema destra non ha aquile nere sulle insegne ma si caratterizza piuttosto per un antisemitismo di matrice cattolica. La formazione politica più in vista è la Lega delle Famiglie Polacche (LPR) che, in nome dei valori cristiani, vorrebbe discriminare ebrei, omosessuali e perfino gli artisti. Ha raggiunto il 16% dei voti alle ultime elezioni europee e si fa forza della della retorica messianica della “Polonia redentrice d’Europa”.

Il lungo elenco dei raggruppamenti di estrema destra dei paesi del blocco ex sovietico è composto da partiti, di cui è impegnativo comprenderne le ragioni che, quasi sempre, affondano in un passato arcaico, fatto di zar e sovrani, che contaminò il vecchio continente prima della rivoluzione dell’ottobre ’17. Non si tratta di un mondo coeso, ma da un arcipelago di aggressività, di pregiudizi, di personalismi, mescolati spesso ad interessi criminali.

Nella ex Jugoslavia, ci sono gli ultranazionalisti del Partito Radicale Serbo (SRS) di Vojislav Seselj, attualmente sotto processo per crimini di guerra al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Secondo Seseli “il concetto della Grande Serbia è lo scopo dell’esistenza della SRS”, che, tra le altre cose, minimizza il genocidio bosniaco e si dichiara fedele al nazionalismo serbo, all’anti-globalismo e alla russofilia. La SRS è stata costituita il 23 febbraio 1991 dalla fusione della formazione di Seseli con il Movimento dei Serbo Cetnici (SCP) e il Partito Radicale Nazionale (NRS).

Il Partito Croato dei Diritti (Hrvatska Stranka Prava, HSP), è la formazione storica della destra croata, si tratta di nostalgici degli ustascia che furono alleati dei nazifascisti nella seconda guerra mondiale. Negli anni novanta, nelle guerre della ex Jugoslavia, l’HSP ebbe un ruolo di primo piano grazie alla costituzione delle Forze di Difesa Croate (Hrvatske Obrambene Snage, HOS), che  vennero accusate di crimini contro l’umanità per le loro azioni militari. Tra il 1990 ed il 2000 l’HSP, nonostante i forti sentimenti nazionalisti dei croati, non è riuscito mai ad eleggere più di 5 deputati a causa della forte concorrenza dell’Unione Democratica Croata di Franjo Tudman, anch’essa nazionalista radicale ed ininterrottamente al governo.

In Ucraina e, in particolare, a Odessa sono in aumento i nazionalisti di Svoboda, guidati da Oleh Tjahnybok, che vorrebbe farla finita con gli ebrei e i “pervertiti sessuali”. I nazionalisti ucraini ce l’hanno con Israele perché rifiuta di riconoscere l’Holodomor come genocidio contro il popolo ucraino, perpetrato dagli ebrei comunisti.

In Russia si va, invece, dai liberaldemocratici del manesco Zhirinovski (soprannominato “l’Hitler russo” che ha avuto tra i primi sostenitori esterni un imprenditore austriaco fiero di un passato nelle Waffen-SS), ai supporter del Partito Nazionale Bolscevico dello scrittore Eduard Limonov, che facendo finta di partire dall’estrema sinistra è approdato a una visione neo-imperiale e panslava.

La crescente xenofobia e la corruzione delle forze dell’ordine hanno contribuito al proliferare dell’estrema destra. Molti gruppi cercano di farsi strada, tra questi c’è anche il Partito Nazional-Socialista russo, una formazione neonazista nata, dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica, per iniziativa di Konstantin Kasimovsky, proveniente da Pamyat, un’organizzazione attiva negli anni Settanta, fondata sui valori del “patriottismo cristiano-ortodosso”.  Nello scorso mese di febbraio sono stati condannati nove membri del gruppo fascista “Lupi bianchi”, composto in gran parte da ragazzi giovanissimi. Erano accusati di avere assassinato undici migranti dall’Asia centrale che avevano la colpa di essere di pelle scura. Nel gennaio 2009, l’avvocato per i diritti umani Stanislav Markelov e il giornalista di opposizione Anastasia Baburova furono uccisi vicino al Cremlino, secondo le autorità da gruppi di neo-nazisti.

L’ESTREMA DESTRA IN EUROPA OCCIDENTALE

Nella parte “occidentale” del vecchio continente, la linea comune dell’estrema destra ha le sembianze dell’opposizione all’architettura degli organismi comunitari, disegnata dal Partito popolare europeo e dal Partito socialista europeo: maggiore integrazione, moneta comune, Parlamento e Commissione europei. La galassia dell’estrema destra , con approcci molto variegati, chiede il ritorno al predominio nazionale sugli organismi comunitari. Poi ci sono i timori dei localisti (come la Lega Nord ed il fiammingo Vlaams Blok): temono che il gigantismo di Bruxelles possa schiacciare le diverse sfaccettature regionali.

Secondo la giornalista di Le Monde, Marion Van Renterghem, “in Europa occidentale l’estrema destra di oggi si allontana dall’abituale riferimento al fascismo e ai regimi autoritari del periodo tra le due guerre. L’estrema destra tradizionale è una cultura marginale, un elemento della società più che una realtà politica, come il partito neonazista (Npd) in Germania. A ovest invece l’estrema destra assume forme meno evidenti. Si assiste a un grande rinnovamento della destra legato all’identità, con la creazione di una nuova generazione di partiti di destra radicale”.

Questo “rinnovamento” è cominciato alla fine degli anni novanta con l’affermarsi del concetto di “populismo alpino“ che si basava sul rifiuto degli immigrati e sull’ossessione del pericolo musulmano.

In quegli anni, in Austria, il Partito austriaco della libertà (Fpö) di Jorg Haider si alleava con i conservatori. Dopo un periodo di appannamento, nell’ottobre 2010, nella “rossa” Vienna, l’Fpö, guidato dall’ex odontotecnico amico di Haider, Heinz Christian Strache, a colpi di slogan razzisti contro i minareti, è balzato al 27% dei consensi alle elezioni comunali, togliendo voti al partito popolare dell’Övp.
Pur rimanendo al timone della capitale austriaca con il 44%, i socialdemocratici dell’Spö sentono il fiato sul collo di Strache.

In Svizzera, il partito di estrema destra  dell’Unione democratica di centro, creatura xenofoba di Christoph Blocher si è rafforzato ricevendo l’investitura popolare, con il suo referendum razzista sull’espulsione automatica degli stranieri (dove il 53% dei cittadini ha detto sì). Recentemente, la Svizzera, con un altro referendum, si è espressa contro la costruzione dei minareti, ispirandosi alle leggi analoghe di due Länder austriaci, il Vorarlberg e la Carinzia.

In Italia, la Lega nord punta a diventare, da spalla xenofoba del Popolo della libertà, a nuovo partito di massa, condizionando pesantemente la coalizione di centro-destra e il governo Berlusconi.

In Francia, è stupefacente l’ascesa della figlia di Jean-Marie Le Pen e del suo Front National. Nello scorso mesi di marzo, i sondaggi davano Marine Le Pen in testa nella corsa all’Eliseo del 2012 con il 23% delle preferenze. Nicolas Sarkozy, impaurito da questi dati, ha preso a scimmiottarla sulle politiche di respingimento degli immigrati. Qualche mese prima, la nuova “pasionaria” del nazionalismo francese aveva dichiarato: “Noi siamo affini alla Lega Nord e contro l’Unione europea. Ne condividiamo la battaglia contro l’immigrazione e l’invasione islamica”.

In Olanda, storica terra di tolleranza, c’è stata l’affermazione dell’anti-islamico Partito della libertà dei Paesi Bassi (Pvv) di Geert Wilders che è diventato il terzo partito, raccogliendo il 22% delle preferenze. Dopo unempasse di quattro mesi, liberali e cristiano democratici dell’Aja hanno dovuto il sostegno esterno al governo del PVV.

Anche in Scandinavia i discorsi sul pericolo dell’islam e degli immigrati musulmani hanno preso piede: in Danimarca il Partito del Popolo Danese (Df) è dal 2001 un alleato indispensabile del governo liberal-conservatore; il Partito del Progresso (FrP) è il secondo partito in Norvegia; mentre in Svezia, superando lo sbarramento del 4%, gli ultranazionalisti di Nuova Democrazia (Sd) hanno fatto il loro ingresso in parlamento a settembre del 2010. Il loro leader, Jimmi Akesson, ha dichiarato: “Ora che siamo in Parlamento li spaventeremo, costringendoli ad adeguarsi a noi. Non tutti gli immigrati sono dei criminali, ma una connessione c’è”.

Al di là degli slogan propagandistici, la ricetta dei partiti nazionalisti e populisti è sempre la stessa. In tempi di crisi, con furbizia, i loro leader agitano lo spauracchio dell’invasione degli stranieri e di “Bruxelles ladrona”, pronti a farsi largo, marciando sulle peggiori pulsioni della popolazione.

Pur in situazioni molto più marginali, continuano a permanere in tutta Europa formazioni dichiaratamente fasciste o addirittura naziste.

In Germania, pur se i tre movimenti estremisti di destra Republikaner, Npd e Dvu, non abbiano mai raggiunto più del 2% a livello nazionale, nonostante ufficialmente il Partito nazionaldemocratico tedesco (Npd) abbia perso iscritti, l’adesione ai naziskin e alle frange estreme e xenofobe si è avuta soprattutto nelle zone più socialmente depresse dell’ex DDR. L’ufficio statale che vigila per il rispetto della Costituzione, nell’aprile 2011, ha lanciato l’allarme  sull’aumento dei militanti di gruppi violenti neonazisti, cresciuti dal 2000 al 2010, da 2.200 a 5.600 esponenti.

In Gran Bretagna, il Partito nazionale britannico (Bnp) fondato nel 1982 da Nick Griffin, alle elezioni del 2005 è diventato l’ottavo partito su scala nazionale nel Regno Unito, senza però riuscire ad eleggere nessun rappresentate. Alle europee del 2009 è riuscito, invece, ad eleggere ben due deputati al Parlamento Ue.

In Italia, la Destra di Storace, dopo un tentativo di andar da sola, è ritornata tra le braccia di Berlusconi. Mentre Forza Nuova esce dal suo isolamento solo per mettere in campo incursioni squadristiche.

Chi invece ha allargato la sua influenza (soprattutto a Roma e al sud) è Casa Pound e la sua organizzazione giovanile Blocco Studentesco. Si definiscono “fascisti del terzo Millennio” e hanno  capovolto diversi codici interpretativi e culturali, utilizzati fino ad ora dai vari filoni del neofascismo italiano. Si tratta di una comunità della destra estrema che intende uscire dal “ghetto culturale e politico” in cui i neofascisti italiani sono stati e si erano sempre rinchiusi. Ed è per questo che è più pericolosa.