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Libano / Il paese nel caos siriano: scontri e rapimenti

Non cessano le violenze in Libano: ieri notte nuovo scontro a fuoco a Beirut, martedì rapiti 13 pellegrini libanesi ad Aleppo. A scatenare i settarismi, lo scomodo vicino siriano e la crisi del regime di Bashar.

24 Maggio 2012 - 16:31

di Chiara Cruciati da Nena News

Roma, 24 maggio 2012, Nena News – La crisi siriana non si placa e incendia il vicino Libano. Un’influenza pesante quella di Damasco su una Beirut permeabile a settarismi etnici e religiosi. Ultime violenze in ordine di tempo gli scontri armati di ieri notte tra le forze di sicurezza libanesi e un siriano armato a Ovest di Beirut. Dopo ore di fuoco incrociato, la sicurezza libanese è entrata nell’appartamento dove si nascondeva l’uomo e lo ha ucciso.

Secondo il resoconto della polizia, il siriano ha sparato contro le truppe libanesi presenti nelle strade del quartiere di Caracas per poi rifugiarsi nel suo appartamento dove è stato individuato e ucciso. Il corpo di un secondo uomo è stato trovato nella stessa abitazione, ma nessuna spiegazione ufficiale è stata fornita in merito alla sua morte. Nella battaglia di ieri notte cinque poliziotti sono rimasti feriti.

Un atto di violenza che segue agli scontri in strada dei giorni scontri a Tripoli e a Beirut tra sostenitori del regime siriano di Bashar e gruppi di opposizione sunniti: bilancio di 14 morti e decine di feriti. E dopo l’uccisione da parte dell’esercito libanese del leader sunnita Ahmad Abdel Wahed, a gettare ulteriore benzina sul fuoco ci si mette il rapimento di martedì nella regione siriana di Aleppo di tredici pellegrini libanesi sciiti di ritorno dall’Iran. Primo indiziato l’Esercito Libero Siriano, forza armata di opposizione al presidente Bashar al-Assad, che però nega il coinvolgimento e risponde per le rime: a rapire i pellegrini libanesi è stato il regime di Bashar, nell’obiettivo di screditare i ribelli.

Secondo il racconto di una donna, Anaam Yateem, che stava partecipando al pellegrinaggio, “un’auto bianca con a bordo uomini armati ha fermato il bus del gruppo e ci ha puntato contro le pistole. Prima ci hanno portato nei campi e poi hanno rapito gli uomini. Hanno detto di essere membri dell’Esercito Libero Siriano”. Ma le milizie armate di opposizione negano ogni tipo di coinvolgimento: “Non crediamo in una simile metodologia”, ha subito commentato Mustafa Al Sheikh, capo del consiglio militare dell’ELS.

Immediato l’intervento della comunità internazionale che ha chiesto il rilascio dei 13 libanesi rapiti. Mentre Beirut chiede l’immediato rilascio per bocca del ministro degli Esteri, Adnan Mansur, dalla Russia giunge l’appello di Sergei Lavrov, ministro degli Affari Esteri, spaventato dalle tensioni al confine tra Siria e Libano: “Considerando la storia, le caratteristiche etniche e religiose della popolazione e le basi del governo libanese, tutto può succedere”.

Dal Golfo, il re saudita Abdullah si è detto sconcertato dall’accaduto, aggiungendo che il suo Paese si impegnerà “per porre fine alla crisi e per liberare il Libano dai violenti effetti della crisi siriana, dovuti alla gravità della crisi stessa e alla possibilità che i settarismi libanesi si traducano in una guerra civile”. I Paesi del Golfo non perdono l’occasione per ribadire la loro opposizione al regime di Bashar: solo la sua deposizione può portare alla pacificazione della Siria.

Per molti l’esplosione della guerra civile in Libano, con un vicino tanto instabile, è solo una questione di tempo. Ad incendiare le tensioni etniche e religiose in Libano è il proliferare di gruppi politici e militari, pro e contro Assad.

Da una parte il blocco che sostiene Bashar, guidato dal partito sciita Hezbollah, a cui si aggiunge parte della comunità cristiana, secondo i quali la rivolta in Siria è alimentata da un complotto sunnita che vuole stravolgere gli equilibri regionali, consegnando Damasco ai Fratelli Musulmani e ai poteri occidentali. Dall’altra stanno i sunniti e la restante parte della comunità cristiani che vedono nella crisi siriana una fase della Primavera Araba e puntano all’indebolimento dello storico ruolo di Damasco in funzione anti-americana, in opposizione ai Paesi del Golfo.

Una divisione interna che trova terreno fertile in un Paese che dopo vent’anni di guerra civile ha ancora difficoltà nel costruire e stabilizzare le proprie istituzioni interne. La morte del leader sunnita Ahmed Abdul Wahid al checkpoint a Nord del Libano, al confine con la Siria, ha stupito gli osservatori e gli esperti locali e internazionali: piuttosto inusuale che l’esercito libanese apra il fuoco ad un checkpoint, soprattutto se il target è un religioso.

Un evento che è stato letto da molti come il tentativo (riuscito) di far esplodere tensioni latenti e invischiare il Libano nel caos siriano. Nena News