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“Lettera aperta a Carlo Lucarelli sulle violenze (quelle vere) alla Granarolo”

Lo scrittore ha mosso sulla stampa dure critiche sulla lotta dei facchini: rispondono V.Evangelisti, WuMing, A.Prunetti e G.De Michele. Ieri, intanto, un gruppo di lavoratori della scuola Romagnoli ha portato la propria solidarietà al presidio permanente.

04 Febbraio 2014 - 13:24

(da Carmilla)

Lettera aperta a Carlo Lucarelli sulle violenze (quelle vere) alla Granarolo

Caro Carlo,

una doverosa premessa: questa non è una “disputa tra intellettuali”, ma una storia dove lavoratori sono stati licenziati per un giorno di sciopero e poi denunciati, pestati e ripestati, gassati e calunniati dai media. Non sono in ballo le nostre reputazioni: sono in ballo le loro esistenze.

Chiarito questo: tu lo conosci quel «Carlo Lucarelli» che ha rilasciato dichiarazioni sui giornali di Bologna a proposito della vertenza che oppone i lavoratori della logistica alla Granarolo e della manifestazione di sabato scorso a Bologna? Quello che parla di «rabbia fine a se stessa che si traduce in minacce, violenze, liste di proscrizione»?

Te lo chiediamo, ricordando le molte occasioni di incontro e collaborazione che abbiamo avuto con te, perché i quotidiani sembrano voler contrapporre, con una furbesca titolazione, due generi di scrittori: quelli “buoni” e quelli “politicamente scorretti” che legittimerebbero la violenza. Una distinzione inaccettabile.

La «violenza»: ma quale violenza? Non c’è stato alcun atto di violenza da parte dei lavoratori in lotta, in massima parte migranti. C’è stato quell’uso della forza che è proprio di ogni sciopero e si esprime nei picchetti, nei blocchi, nell’intenzione di danneggiare gli interessi economici della controparte come forma di pressione sindacale.

Al contrario, la violenza fisica delle manganellate e degli spray urticanti, gli arresti ingiustificati dei delegati sindacali (in violazione delle norme), i licenziamenti, il mancato reintegro dei lavoratori in spregio agli accordi sottoscritti (ed anche, a Milano, il pestaggio in stile mafioso del sindacalista del Si Cobas Fabio Zerbini) sono forme di violenza padronale. Una violenza fisica, reale, su cui avremmo voluto sentire da quel «Carlo Lucarelli» qualcosa di più che il semplice «sto dalla parte dei lavoratori». Perché se poi il dichiarante «non entra nel merito», ma proprio nel merito ci sono la violenza e la negazione dei diritti, allora le parole non corrispondono alle cose, e questo tu e noi, come scrittori, giornalisti e lavoratori nella cultura, lo sappiamo bene.

In secondo luogo, nella dichiarazione di quello strano, non molto credibile «Carlo Lucarelli» si mescolano cose diverse in modo improprio: le «liste di proscrizione» di cui si parla sono in realtà una protesta avvenuta non alla Granarolo ma all’università. Una protesta a nostro avviso legittima, contro abusi e illegalità che avvengono ad opera di quelli che un tempo si sarebbero chiamati «baroni universitari», e che è giusto vengano denunciate da chi le subisce, se chi di dovere non se ne accorge, o non interviene. In ogni caso, è una battaglia combattuta con le armi della critica, come in democrazia dovrebbe essere pacifico.

Ma cosa c’entra questa vicenda universitaria con quella delle vertenze nella logistica? Nulla. Però l’accostamento tra le due cose, accompagnato dal nome di uno dei collettivi impegnati nello sciopero della logistica, crea l’impressione che esista un’organizzazione violenta che sovrintende a questo e quello. Abbiamo da tempo constatato che su alcuni giornali ogni volta che c’è un evento “politicamente scorretto” si corre a fare il nome di un centro sociale o un collettivo, per suggerire al lettore che non di movimenti sociali, ma di «cattivi maestri” (o “cattivi allievi”) si tratta. Lo stesso metodo poliziesco che troviamo nell’interrogazione parlamentare presentata da 10 senatori del PD e di Forza Italia, nella quale si nominano centri sociali e sindacati, esortando il Ministro degli Interni a visionare le pagine web dei loro siti. Questa sì ci sembra una lista di proscrizione.

I dipendenti comunali che hanno donato 300 buoni pasto ai lavoratori in sciopero, i lavoratori degli asili nido che hanno annunciato il boicottaggio dei prodotti Granarolo per non rendere i bambini «complici dello sfruttamento», o i partecipanti alla manifestazione di solidarietà che scendevano in piazza sabato scorso, contribuiscono forse a costituire «un clima preoccupante»? Forse preoccupano chi continua a raccontarci che i conflitti sociali, le lotte e i diritti dei lavoratori sono un retaggio del Novecento, epperò vuole il latte fresco in frigorifero ogni mattina, che è anch’esso un retaggio del Novecento.

A noi preoccupa invece il fatto che in questa vertenza – e non solo in questa – si stia perdendo il senso di parole come «padrone», «crumiro», «proletario», «diritti», «sindacato». Ci preoccupa che Granarolo e Legacoop possano comportarsi da padroni, e pretendere di essere considerate cooperative di sinistra, e avere la solidarietà congiunta dei senatori e delle senatrici PD e FI dell’Emilia-Romagna. E ci preoccupa, anche, l’uso della violenza contro i lavoratori in lotta – ma questa, tu ci insegni, è un’altra storia, o no?

Valerio Evangelisti
Wu Ming
Alberto Prunetti
Girolamo De Michele

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La solidarietà è un’azione di lotta e di educazione

Da una scuola elementare ai cancelli della Granarolo

Da 9 mesi i lavoratori della logistica (i facchini, per intendersi) presidiano e picchettano i cancelli della Granarolo, fanno cortei e manifestazioni in città e nel resto d’Italia. La storia è nota: sono stati licenziati dopo aver scioperato per la prima volta insieme al loro sindacato S.I.Cobas contro le condizioni di sfruttamento con cui venivano schiavizzati, trattati come bestie nei magazzini della multinazionale Granarolo. L’accordo firmato in Prefettura per risolvere la situazione non è stato rispettato dalle parti istituzionali e padronali, così la lotta è ripresa più dura e determinata di prima.

La scorsa settimana il presidio permanente ai cancelli della Granarolo è stato aggredito con grande brutalità e violenza da parte della polizia, due operai sindacalisti che erano accorsi per sostenere la lotta sono stati arrestati, la procura ha emesso 283 denunce contro scioperanti e picchetti.

Sabato 1 Febbraio hanno organizzato una grande manifestazione, a Bologna, la città dove vivono e dove vengono sfruttati. L’obiettivo era far capire a tutti, specialmente a padroni e istituzioni, che non si arrendono, che non si piegano.

In migliaia siamo scesi al loro fianco, per sostenerli, per dire con chiarezza che non li lasceremoo soli. Perché la loro lotta fa capire a tutti, ai lavoratori, ai precari, agli studenti che è possibile spezzare le catene dello sfruttamento e della rassegnazione.

Per questo, come lavoratori della Scuola Elementare Dino Romagnoli, abbiamo proposto di raccogliere fondi e fare una spesa di generi di prima necessità: da mesi non percepiscono salario, la cassa integrazione è cessata; molti hanno rimandato le famiglie ai paesi di provenienza e resistono con poco e niente.

Abbiamo assunto questa iniziativa perché abbiamo provato sulla nostra pelle cosa vuole dire avviare una lotta e -dopo i primi momenti di entusiasmo- ritrovarsi soli. Noi abbiamo la consapevolezza che non si dovrebbe, di fronte a una lotta -specialmente quando è così dura- girare la testa, rifugiarsi nel “non mi riguarda”.

Pensiamo che non sia più sufficiente “indignarsi” solo quando in televisione passano le immagini dei morti annegati nel Mediterraneo e sulle nostre coste. Questi lavoratori sono in gran parte immigrati, molti sono genitori e zii di bambini che vengono nelle scuole bolognesi.

Oggi pomeriggio (ieri, ndr), finito il turno di lavoro, andremo da loro, davanti ai cancelli della Granarolo di Cadriano, nel posto dove lottano.

Perché il diritto-dovere della solidarietà è un azione di lotta anche per chi lo esercita.

Lavoratori della Scuola Elementare Dino Romagnoli – Bologna – Pilastro