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Làbas: “Entro 57 giorni dentro a un nuovo spazio”

Conferenza stampa degli attivisti dopo la grande manifestazione di sabato scorso. Sul nuovo spazio che li ospiterà: “No a decisioni calate dall’alto, ma un luogo progettabile dalla città che è scesa in piazza”.

13 Settembre 2017 - 20:28

“La giornata di sabato ha rotto con la linearità e ha istituito un nuovo ordine di discorso. E’ stato uno straordinario segnale di una società che è viva e che non vuole più stare ad aspettare i tempi della politica e i suoi linguaggi, ma vuole invece mettersi insieme per definire quella che sarà la città del domani”. Con queste parole gli attivisti di Làbas hanno aperto la conferenza stampa di oggi pomeriggio, durante l’ormai consueto appuntamento del mercoledì in piazza del Baraccano “Làbas oltre Làbas”, che li vede in presidio nei pressi dell’ex-caserma Masini dal giorno successivo allo sgombero. In particolare in riferimento allo spazio che dovrebbe ospitare i progetti in futuro dicono: “Vogliamo che non sia una decisione calata dall’alto, ma uno spazio progettabile da quella moltitudine scesa in piazza. Di certo entro 57 giorni saremo dentro a un nuovo spazio”.

Rispetto alle voci circolate sulla possibile assegnazione di uno spazio in vicolo Bolognetti “ad oggi non ci è stata fatta nessuna proposta, dovrà in ogni caso essere discussa insieme a tutta la città”, ma di certo c’è “un impegno, conquistato, su dei parametri che noi abbiamo posto come rivendicazione pubblica subito dopo lo sgombero: continuità temporale, in uno spazio che possa tenere insieme tutti i progetti, dentro al quartiere S.Stefano. Quale spazio sarà nello specifico poi lo andremo a discutere. Non si torna indietro dalla gigantesca e storica manifestazione che si è tenuta sabato scorso. Decisivo per noi sarà anche il grado di autonomia che l’esperienza che continuerà potrà avere nel nuovo spazio.” Inoltre gli attivisti rigettano il tentativo di ricondurre a “norme” entro le quali omologare le istanze emerse dalla manifestazione del 9 settembre: “Quello che chiediamo è poter ragionare insieme di nuove formule giuridiche con cui poter rappresentare Làbas e altre realtà future che verranno e ne preservino la specificità”.

Ieri inoltre gli attivisti in un comunicato dal titolo “Làbas oltre Làbas/Bologna oltre Bologna” avevano tirato le somme della mobilitazione sfociata nella giornata di sabato 9: “Un corteo di 20mila persone a Bologna – in questi tempi di ansie securitarie e politiche dell’odio – non è qualcosa di scontato. Di più, è una boccata d’ossigeno che rompe il grigiore delle retoriche del degrado e della paura che stanno trasformando le città in spazi sempre più blindati. Un evento straordinario se aggiungiamo che chi è sceso in strada lo ha fatto per uno spazio sociale. Il carattere di extra-ordinarietà della manifestazione di sabato 9 a Bologna non è però comprensibile nei termini del miracolo, ovvero dell’evento inatteso e inspiegabile. Piuttosto è una rottura dell’ordinario, di quella quotidiana dose di razzismo, rassegnazione e frustrazione che sembrano essere diventati la cifra del nostro presente; è una marea di convergenze nella quale ognuno può essere parte del cambiamento; è l’apertura di un possibile che è già presente e aveva solo bisogno di spazio per venir fuori. Sarebbe però riduttivo pensare che tutto ciò sia accaduto per via di un semplice luogo. Làbas è stato, è e sarà molto più di quattro mura. Basti pensare allo sgombero subìto l’8 agosto: invece di indebolirci ha fatto esondare per le strade della città tutta la ricchezza sociale che è stata accumulata in questi cinque anni attorno alla Caserma Masini. Una ricchezza che non è semplicemente in Làbas, ma nella città tutta. Perché Làbas è un’esperienza comune, un esperimento di cooperazione dal basso e autonoma in continua evoluzione. I tanti progetti che tra le mura di via Orfeo avevano trovato una casa – e che a breve ne avranno un’altra – sono un esempio concreto di quella potenza collettiva che si può chiamare in tanti modi ma che rende l’agire in comune una risorsa sociale: mutualismo, solidarietà, coalizione. Il possibile che Làbas ha mostrato poter essere reale è quello del fare società, del ricostruire legami e reciprocità, dell’accoglienza e non dei muri, dei beni comuni e non della rendita, della partecipazione e non del decisionismo”.

Continuano dal centro sociale: “A partire dal giorno dello sgombero, infatti, abbiamo provato a mettere in campo una processualità aperta e condivisa che non si limitasse a poche persone. Siamo di fronte ad una scommessa importante: è possibile immaginare una Bologna diversa da quella interessata solo a grandi opere e business? Una città che non trasformi le questioni sociali in problemi di ordine pubblico ma in occasioni di crescita collettiva? Una Bologna che ripensi se stessa a partire dalle tante esperienze di volontariato, associazionismo, solidarietà, sindacalismo, movimenti? Noi crediamo di sì. Come opporsi al deserto che le politiche di tagli e sicurezza stanno creando nelle nostre città? Politicizzando il sociale, coalizzando quelle forze – vecchie e nuove – che invece si riconoscono nella potenza costituente della cooperazione e del mutualismo per praticare l’alternativa. L’immaginazione civica non piomba dall’alto, si costruisce nelle processualità aperte dei conflitti e delle esperienze della città. Quello che occorre è invertire la tendenza. In questi mesi si è venuto a creare un clima generale di attacco alla solidarietà e al mutualismo. Pensiamo alla odiosa campagna di limitazione e diffamazione nei confronti delle ONG che in mare fanno quello che gli Stati non fanno: salvare vite umane. Ma pensiamo anche alla minaccia di una campagna nazionale di sgomberi; scene come quelle di palazzo Curtatone a Roma rischiano di diventare il volto brutale di mesi di retoriche del decoro e ordinanze anti-degrado. La vicenda di Làbas invece segna un cambio di rotta: la forza collettiva coagulatasi nei 20mila di sabato ha obbligato un’amministrazione locale – che fino a questo momento aveva messo la testa sotto la sabbia davanti agli sgomberi e alle istanze sociali che le occupazioni portano avanti – a riconoscere il valore cittadino di questa esperienza, impegnandosi pubblicamente a trovare nuovi spazi. Non si tratta di un regalo, di una concessione o di un accordo, ma di una conquista strappata, di un’affermazione imposta grazie alla determinazione di tanti e tante, diversi ma uniti”.

E concludono così: “E ora? Abbiamo percorso tanta strada ma non per questo siamo arrivati. Prima di tutto, alle promesse dovranno far seguito i fatti: la campagna #RiapriAMOLàbas non si fermerà finché non potremo festeggiare i cinque anni di questa esperienza in un nuovo spazio. Il punto non è rientrare nelle regole per tornare all’ordinario, ma cambiare le regole perché quelle attuali non vanno. Làbas non va normalizzato; va riconosciuto nella sua autonomia e indipendenza, nella sua spontaneità, nella sua capacità di costruire collettivamente un pezzo di città diversa. Perché fin dall’inizio abbiamo scommesso sul carattere pubblico e processuale del suo destino, laddove pubblico non significa la apparente e formale neutralità dei bandi e degli avvisi, ma la concreta e democratica partecipazione a processi decisionali aperti a tutti quelli che vogliono contribuire. Se qualcuno pensava di depotenziarci, dopo il 9 sa che invece la marea è andata be oltre Làbas e ha investito la città. E qua sta il secondo punto. Si è aperto uno spazio cittadino di partecipazione e alternativa. Sta a tutte e tutti noi non permettere che venga chiuso ma far sì che debordi. Occorre riaprire una contrattazione sociale fra le istituzioni e la città. Occorre ripensare Bologna a partire dalla potenza costituente della cooperazione. #BolognaoltreBologna, la città dell’alternativa oltre il grigiore della città del business. ‘L’aria della città rende liberi’ diceva un motto medievale per indicare gli spazi urbani svincolati da obblighi feudali. Ci sono nuovi vincoli da cui liberarci. I vincoli della paura, del razzismo, della governance decisionista, delle politiche neo-liberali di rendita e concorrenzialità. La chiave per aprire nuovi orizzonti è solo celata alla nostra vista ma si trova già qua. Sabato ne abbiamo visto tutte le potenzialità. Una direzione è tracciata, ed è importante notare come siano tante le città radicali/ribelli/senza paura attorno a noi, segno di una possibile geografia europea da costruire al di là dei perimetri imposti dalla sovranità e dagli stati nazione. La strada da percorrere lunga ma di compagni e compagne lungo il cammino siam sicuri ne troveremo molti se avremo coraggio”.