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L’Onda e le cronache di guerra della procura

Cua, Bartleby, Crash e Tpo in conferenza stampa: i provvedimenti cautelari contro l’Onda sono un’intimidazione, il giudice si inventa uno scenario bellico. In dettaglio, le motivazioni addotte dal gip.

21 Settembre 2010 - 23:59

Conferenza stampa nel cortile di Lettere e Filosofia, in via Zamboni 38, per gli attivisti dei collettivi universitari e dei centri sociali colpiti dalle pesantissime misure cautelari decise dal gip per il corteo contro Maroni del 28 settembre 2009: un ragazzo di ventiquattro anni è agli arresti domiciliari, sei hanno l’obbligo di firma.

Secondo Niccolò, del Collettivo Universitario Autonomo, «questi provvedimenti sono una forma di intimidazione» di fronte alla quale «la miglior risposta sarà la quella delle piazze, che saranno nuovamente attraversate dai linguaggi e dalle pratiche del movimento»

«Maroni veniva all’Università di Bologna e l’Università riconosceva dei crediti a chi partecipava a quel convegno.», ricorda Andrea di Bartleby, che fa un parallelo con le mobilitazioni di oggi in Università: «Noi dimostravamo la nostra indisponibilità a questo scempio e siamo pronti a rifarlo, così come oggi dimostriamo la nostra indisponibilità al lavoro nero in Università e allo sfascio dell’Ateneo»

Fulvio di Crash promette: «A questa azione intimidatoria rispondiamo che non ha colpito nel segno, la nostra attività di partecipazione politica continuerà, lo dimostra la nostra agenda politica, che è densa di appuntamenti»

«Non chiederemo scusa e non ci fermeremo», è il punto fermo di Gianmarco de Pieri (Tpo): «Rivendichiamo quello che successe quel giorno e presto daremo il via a una campagna pubblica di cancellazione di questi incredibili provvedimenti restrittivi». Una campagna, specifica, rivolta a «tutti quei deputati e quelle forze politiche e non che in questo momento stanno cercando di resistere alla violazione della legalità dall’alto. Chi dissente e lo fa in forma pubblica, invitando la città a scendere in piazza, ha diritto di farlo», prosegue: «Invece queste misure restrittive causeranno problemi a questi ragazzi, al 90% incensurati. Tra loro c’è chi lavora e avrà problemi per questo»

«Si trattava di una manifestazione pubblica, anche se radicale, contro un ministro che porta la responsabilità dei lager in Libia e della morte dei migranti in mare. Se si cerca un delinquente politico non va cercato nelle sedi dei nostri collettivi, ma al Viminale. Si chiama Roberto Maroni», stigmatizza de Pieri, che accusa la procura di aver dipinto uno «scenario bellico con feriti e contusi, addirittura con ‘armi’ portate da casa»

CRONACHE BELLICHE

Zeroincondotta seguì con una cronaca minuto per minuto il corteo di quel giorno, e non ci può che parere sproporzionata con la dinamica dei fatti di quel giorno la ricostruzione fatta dalle parti di Trento e Trieste, per giustificare le gravi ipotesi di reato per cui i sette sono indagati: resistenza aggravata a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate, porto di oggetti atti a offendere, manifestazione non autorizzata, travisamento.

Si contesta quanto avvenne all’incrocio tra via Santo Stefano e via Cartolerie: le forze dell’ordine avevano bloccato l’accesso a quest’ultima per impedire che il corteo raggiungesse l’aula S.Lucia in via Castiglione, dove si stava svolgendo il convegno a cui partecipava Maroni.

Ed ecco le cronache di guerra della procura: «Dopo alcuni minuti di sosta i manifestanti, travisatisi e con la chiara intenzione di sfondare il dispositivo di sicurezza», scrive il gip, «lanciando torce appena accese [fumogeni, ndR], bottiglie, pile, uova e palloncini colmi di vernice rossa all’indirizzo degli agenti, nonchè imbracciando a mo’ di scudo dei materassini da spiaggia [!], tentavano di forzare il blocco».

La posizione più grave quella dell’attivista ora ai domiciliari: secondo gli investigatori, avrebbe colpito con un fumogeno (che, come abbiamo scritto di recente, non è un candelotto di dinamite) un poliziotto provocandogli ustioni di primo e secondo grado (!) al collo e al torace e trentasei giorni di prognosi.

Gli altri agenti colpiti da uova e materassini di gomma avrebbero riportato «una contusione alla gamba, una distorsione alla caviglia, una contusione allo scroto, una bruciatura al polso e una contusione all’inguine».

Uno dei sette indagati è accusato aver colpito un agente con calci e spintoni, per impedire il fermo di un giovane ultras (alcuni tifosi si erano infatti uniti alla protesta) che, grazie alla pressione della centinaia di manifestanti, fu rilasciato poco dopo.

Un aspetto particolarmente insidioso dell’ordinanza di Piazza Trento e Trieste, come è stato rilevato anche durante la conferenza stampa, è l’esplicito intento di depotenziare le mobilitazioni che, soprattutto per quanto riguarda scuola e università, stanno già mettendosi in modo preannunciando un autunno di lotta; secondo il gip, si tratta di fatti gravi «in considerazione dell’allarme sociale sempre più suscitato da azioni analoghe» e viste le «personalità e capacità a delinquere dei sette indagati». Di qui le misure, che vengono definite «necessarie per la tutela della collettività»

Gli arresti domiciliari per il ventiquattrenne, in particolare, sono motivati dalla volontà di «evitare la possibilità per lo stesso di partecipare ad altre manifestazioni simili» mentre gli obblighi di firma puntano ad avere un «controllo sulle abitudini di vita» degli altri sei ragazzi.

In sostanza, si restringe preventivamente la libertà personale di sette persone per inibire la possibilità di esprimere dissenso. Le modalità di piazza vengono criminalizzate con una narrazione iperbolica per giustificare l’appello a un allarme sociale che non c’è – l’unico allarme, in questo periodo, ci pare la miseria in cui la crisi sta costringendo fasce sempre più ampie della società.
E la necessità di esercitare «un controllo sulle abitudini di vita» di chi dissente contrasta persino con i più blandi principi liberali, richiamando inquietanti echi totalitari