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In Ateneo sanzioni “da Stato di polizia”

Il legale di due studenti sotto procedimento disciplinare rileva come l’Università assuma come fatti certi ciò che emerge da semplici indagini preliminari: “Ci si disinteressa del principio di non colpevolezza”. Libertà di studiare: “Ubertini inquisitore”.

23 Luglio 2017 - 17:27

Un “rettore travestito da inquisitore”. E’ così che la campagna Libertà di studiare definisce il numero uno dell’Alma Mater, Francesco Ubertini, commentando i due procedimenti disciplinari che sono stati avviati nei confronti di uno studente e una studentessa di Hobo per accuse legate alla mobilitazione contro la selezione degli ingressi alla biblioteca di via Zamboni 36. Una mossa, quella dell’Ateneo, che “raffigura perfettamente l’intreccio patologico tra Università e Procura”, hanno affermato gli attivisti della campagna, nei giorni scorsi, durante una conferenza stampa convocata davanti al rettorato. I vertici dell’Atneo stanno cercando di “criminalizzare non solo la lotta del 36 ma più in generale tutte le studentesse e gli studenti che cercano di opporsi ad una gestione malata dell’Università”, è l’accusa di Libertà di studiare.

Alla conferenza stampa ha preso parte anche il legale dei due studenti, Ugo Funghi, che ha sottolineato come”un procedimento disciplinare di per sè ha senso se è in grado di camminare sulle sue gambe” attraverso un’istruttoria interna. Il rettorato, invece, si sta muovendo diversamente perchè “va dal pubblico ministero e chiede gli atti del procedimento penale” con l’obiettivo di “trasferire nel procedimento disciplinare- continua l’avvocato- gli atti dell’indagine preliminare, perchè qui siamo in una fase assolutamente embrionale del procedimento penale, e pretende d leggere quegli atti come se fossero capaci di produrre risultati di certezza. E invece quegli atti, che sono parte della fase iniziale di un procedimento molto più ampio, sono intrinsecamente instabili perchè sono destinati ad avere un’evoluzione del procedimento e sono atti di parte, perchè la Procura nel gioco delle parti è l’avversario degli indagati”. In questo contesto, “il principio sostenuto dal rettore, agendo in questo modo, è quello di dire che un fatto è vero perchè lo dice la Digos e questo significa che avalla un modo di procedere che è tipico degli Stati di poliza, dove l’attività di polizia è sufficiente a produrre una sanzione e di fatto riduce il procedimento disciplinare ad una sorta di inquisizione accademica”. Infatti, così facendo l’Ateneo “si disinteressa del principio di non colpevolezza, si disinteressa del vaglio di credibilità e affidabilità della fonte, si disinteressa contraddittorio nella valutazione della prova”.