Attualità

Il suicidio in tempi di crisi

In Italia l’argomento suicidio / disoccupazione è un tabù ancora difficile da infrangere. Sul fenomeno non esistono specifiche indagini e anche nei resoconti di cronaca il fattore “mancanza di lavoro” viene liquidato come nota a margine.

16 Dicembre 2011 - 12:53

“Ammazzarsi di lavoro”, mai metafora è diventata una realtà così tragica come quella che ha legato la morte alla attività lavorativa.

Pur di fronte a un aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, in Italia, il bilancio delle vittime è già superiore a quello del 2010: alla fine di ottobre i morti sul lavoro erano 460 contro i 441 dello stesso periodo dell’anno scorso.

Ma la morte arriva sempre più frequente, causata anche dalla crisi e dalla perdita del lavoro. Si tratta delle cosiddette “morti lente”, morti per suicidio provocate dalla disoccupazione e dalla precarietà, lente perché non avvengono improvvisamente, seguono un travaglio che accompagna il soggetto per giorni e per mesi prima di arrivare alla tragica scelta.

Perdendo il lavoro, si perde il reddito e quindi, di conseguenza, cresce la povertà e si accumulano i debiti. C’è chi resiste e tiene duro, chi invece crolla e precipita nella depressione e nel disagio psichico. La perdita del proprio lavoro e la difficoltà a trovarne un altro causano un’enorme insoddisfazione, sia a livello sociale che psicologico. La sensazione di essere inutili sia alla famiglia che alla società diventa pervasiva. Spesso arriva la separazione coniugale, i figli non reggono la situazione ed emerge un disagio psicologico. A volte, il calvario procede con episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio, poi, la disperazione fa precipitare nell’atto estremo di togliersi la vita.

In Italia l’argomento suicidio/disoccupazione è un tabù ancora difficile da infrangere: si preferisce non approfondirlo come fosse oscuro e imperscrutabile. A differenza di altri settori, dove le ricerche sfornano cifre e dati da interpretare, su questo fenomeno non esistono specifiche indagini e anche nei resoconti di cronaca, il fattore “mancanza di lavoro” viene spesso liquidato come una nota a margine, citato come un epitaffio e sempre sottodimensionato rispetto a vaghi “disagi personali”.

Vari studi nel mondo hanno invece evidenziato un legame tra crisi economica e problemi di salute mentale. Una ricerca condotta su 16 paesi europei e pubblicata nel 2009 sulla rivista Social Studies of Science dimostra che l’insicurezza del posto di lavoro produce danni alla salute, anche a quella psichica.

Diverse ricerche spalmate nel tempo hanno riscontrato un legame tra una situazione difficile dal punto di vista socio-economico e un aumento del consumo di psicofarmaci, dei problemi di salute mentale e dei suicidi. Per esempio, in Gran Bretagna tra il 1920 e il 1930, la disoccupazione produsse un aumento dei suicidi tra gli uomini. Un’analisi della crisi economica asiatica del 1997/98 ha indicato in circa diecimila i suicidi tra Hong Kong, Giappone, e Korea.
Nel 2001, dopo la crisi che mise in ginocchio l’Argentina, la vendita di farmaci antidepressivi aumentò notevolmente. A Hong Kong. il 24% di tutti i suicidi avvenuti nel 2002 riguardava le persone con indebitamento. Secondo una ricerca pubblicata su Psychiatry, negli Stati Uniti, dopo il settembre del 2008, quando si è verificata la bancarotta della banca Lehman Brothers (evento simbolo del crollo finanziario) è avvenuta una lievitazione delle prescrizioni di sonniferi, ansiolitici e antidepressivi.

La World Psychiatric Association ha svolto uno studio in Corea del Sud nell’arco temporale che va dal 1998 al 2007, né uscito un incremento della frequenza della depressione e dei tentativi di suicidio durante il periodo di crisi finanziaria. Il tasso dei tentativi di suicidio è aumentato da 13,6 per 100 mila abitanti nel 1997 a 18,8 nel 1998, anno di inizio della crisi. La disuguaglianza nella frequenza, in rapporto al reddito, è andata poi progressivamente aumentando durante il decennio.

Un’altra ricerca simile, riferita ai paesi europei, ha stabilito che per ogni aumento dell’1% del tasso di disoccupazione si è verificato un aumento dello 0,79% dell’incidenza del suicidio nei soggetti di età inferiore ai 65 anni. Un altro studio, fatto di recente in Gran Bretagna, ha indicato due tipi di persone che, a causa della crisi, sono ad alto rischio di depressione: gli insicuri sulla propria situazione occupazionale e gli indebitati. La ricerca ha evidenziato come la disoccupazione si associ al rischio di depressione e a disturbi ansiosi. Infatti, si sono riscontrati problemi psicologici sul 34% dei disoccupati contro un 16% tra gli occupati. Le conseguenze sulla salute mentale sono maggiori quando il periodo di disoccupazione è più lungo.

IN EUROPA LA CRISI HA FATTO STRAGE

I suicidi sono aumentati in buona parte dell’Europa da quando è iniziata la crisi economica, come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista scientifica britannica The Lancet. Secondo i dati Eures, dal 2009, in tutta Europa, contestualmente all’intensificarsi della crisi, il numero delle persone che si è tolto la vita è passato dal 5 al 17%. Nel vecchio Continente, per ogni incremento del 3% della disoccupazione, aumenta di quasi il 5% il tasso dei suicidi. La crisi economica ha portato cioè, nell’arco di un anno, ad oltre 1.700 suicidi in più.

Il 21 settembre 2011, sul Wall Street Journal, Markus Walker ha scritto un reportage sull’aumento dei suicidi in Grecia: “I suicidi sono all’incirca raddoppiati rispetto a prima della crisi, raggiungendo il livello di 6 ogni 100 mila persone all’anno”. I dati provengono dal Ministero della Salute greco. Negli ultimi cinque mesi si sono uccisi il 40% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La Grecia è tra i paesi europei più colpiti e le statistiche non sono nemmeno precise, perché la maggior parte dei suoi cittadini sono ortodossi e la loro Chiesa vieta i funerali per chi si è tolto la vita.

Il più alto tasso di suicidi in Grecia si registra a Creta. Dice un antico proverbio cretese: “Il nostro orgoglio è alto come Psiloritis”, la montagna più alta dell’isola. Ma quando l’orgoglio è perduto, la vergogna può portare a darsi la morte.

IN ITALIA C’E’ L’ANGOSCIA DI NON ARRIVARE A FINE MESE

Durante il 45° congresso della Società Italiana di Psichiatria che si è tenuto a Roma a ottobre 2009, è stato affrontato il problema presentando per la prima volta alcuni numeri. La crescente disoccupazione rilevano gli specialisti, può essere strettamente collegata all’aumento del tasso dei suicidi.

In Italia non si è ancora agli agghiaccianti numeri di Telecom France, dove dal 2008, 40 persone si sono tolte la vita, di cui sette all’inizio del 2010, in una situazione di terrore aziendale sviluppatasi in seguito a una ristrutturazione gestita in maniera selvaggia. Ma anche da noi il fenomeno della disperazione a fronte delle difficoltà lavorative esiste, anche se colpevolmente sottovalutato.

Basti pensare a quello che avvenne tra i cassintegrati della FIAT tra l’ottobre del 1980 e l’aprile del 1984: furono censiti 149 suicidi tra gli operai della grande fabbrica torinese e dell’indotto colpiti dalla cassa integrazione.

La situazione odierna è parzialmente diversa da quella di 31 anni fa, anche se la lista di operai che perdono il lavoro e che si tolgono la vita si sta facendo ogni giorno più lunga.

I cassintegrati del 1980 furono un pugno nello stomaco. Soggetti sociali che per più di un decennio erano stati protagonisti venivano messi improvvisamente ai margini della società. In questi tempi, gli operai hanno perso la loro centralità di classe e la condizione di cassintegrato o di lavoratore in mobilità assomiglia alla condizione di precarietà che tanti giovani vivono quotidianamente. Rispetto all’esperienza di allora rimangono comunque dei tratti comuni, soprattutto sul terreno psicologico. Le cose che un operaio che finisce in cassa integrazione fa nella quotidianità sono abbastanza simili a quelle di trent’anni fa. Le prime settimane di CIG sono vissute come se la ditta ti avesse obbligato a prendere le ferie, quasi fosse un periodo di vacanza. La metamorfosi avviene lentamente. Il cambiamento lo si percepisce dopo il primo mese. Per impegnare la giornata si comincia a dedicarsi ai lavori di casa, quelli che prima non c’era mai il tempo di sbrigare: si tinteggiano le pareti, si riparano i rubinetti, si risistema l’impianto elettrico. Terminata questa fase, si affacciano i primi problemi.

Il primo fra tutti, la diminuzione del reddito. Un tempo si andava in CIG con l’80 per cento del salario, oggi la decurtazione è molto più forte. Allora quasi tutte le aziende anticipavano la quota di CIG, oggi l’assegno di cassa integrazione, oltre ad essere più magro, non viene quasi mai anticipato e tempi dell’INPS sono lunghi, se non eterni. Ma il problema principale è la condizione di sospensione: il cassintegrato perde improvvisamente il suo ruolo nella società, vive in un limbo e non può far altro che attendere.

La caduta dei filtri sociali si rileva in una molteplicità di comportamenti sempre più diffusi. La dimensione più distruttiva delle pulsioni si riscontra nel progressivo crescere delle forme di depressione. Il consumo di antidepressivi è emblematico: le dosi giornaliere sono più che raddoppiate dal 2001 al 2009, passando da 16,2 a 34,7 per 1.000 abitanti (+114,2%).

La crisi economica, la perdita del lavoro, l’angoscia di non arrivare a fine mese, producono depressione. In Italia, nel 2009, quasi 7 italiani su 100 hanno sofferto di un episodio depressivo.

Nel nostro paese, negli ultimi anni, c’è stato un aumento dei suicidi: nel 2009 sono stati 2.986 contro i 2.828 i casi nel 2008 (un aumento del 5,6%). Secondo l’istituto di ricerca Eures, l’incremento è direttamente legato alla crisi: nel 2009 i suicidi per ragioni economiche hanno raggiunto il valore più alto degli ultimi decenni (198 casi, cioè +32% rispetto ai 150 casi del 2008; 118 nel 2007). Tra i disoccupati si registra mediamente un suicidio al giorno. Dei 357 soggetti che si sono tolti la vita perché espulsi dal mercato del lavoro 85 riguardano giovani alla ricerca della prima occupazione.

In Italia la regione con il tasso più alto di suicidi è la Sardegna, 11,5 ogni 100 mila abitanti (tra l’altro è anche uno dei più alti d’Europa). Il Sulcis Inglesiente è una delle aree più depresse della Sardegna. In questa terra, dove nel 1904 ci fu il primo sciopero generale della storia d’Italia, ormai tutte le fabbriche sono chiuse: Portovesme, Otefal, Sail, Eurallumina (l’unico impianto che produce alluminio in Italia con 1000 lavoratori e altri 8oo dell’indotto) vivono tutte grandi difficoltà.

I numeri della crisi di questo distretto industriale sono drammatici: 40 mila lavoratori disoccupati e 6 mila precari e 15 mila lavoratori dell’indotto che aspettano ogni giorno il fallimento delle loro aziende. Il tutto, su una popolazione di 135 mila abitanti.

Questi suicidi rappresentano il quadro di una situazione di disgregazione sociale dove la perdita del lavoro viene vissuta come un dramma della solitudine irrisolvibile e senza via d’uscita. 
Chiunque in Italia abbia avuto a che fare con periodi più o meno lunghi di non lavoro si è dovuto confrontare oltre che col problema psicologico della perdita d’identità, con due oggettive avversità: l’assenza di una forma di sostegno al reddito e l’enorme difficoltà, a prescindere dalle professionalità acquisite, di rientrare nel circuito lavorativo. La condizione di disoccupazione in Italia è più forte e più lacerante di quanto si possa credere.

Spesso questa fascia di “espulsi dal lavoro” è molto lontana dall’orizzonte pensionistico e, con gli ultimi provvedimenti in materia del governo Monti, il traguardo diventa sempre più un miraggio. E, in questo contesto, gli “obblighi familiari” diventano macigni molto gravosi: rata dell’affitto o mutuo acceso per l’acquisto della casa e spese per i figli.

Per ogni aumento dell’1% del tasso didisoccupazionesi è verificato un aumento dello 0,79% dell’incidenza del suicidio nei soggetti di età inferiore ai 65 anni.

Questi risultati sono confermati anche da altre ricerche pubblicate nel corso del 2010. Il legame tra casi di depressione e tentativi di suicidio appare forte in tutta la sua drammaticità. Si tratta di una situazione che va ben oltre la soglia della preoccupazione e che dovrebbe vedere impegnate le strutture pubbliche in interventi di sostegno, ma invece i servizi sono sottoporli a tagli drastici.

AUMENTANO I SUICIDI DEGLI “INSOLVENTI”

Se finora la crisi economica è stata collegata a persone che perdevano il lavoro o a fabbriche e aziende che chiudevano, un aspetto in questa situazione socialmente drammatica è stato spesso tralasciato: quello psicologico.

L’Associazione per la ricerca sulla depressione di Torino ha rilevato una cosa lapalissiana: le cattive notizie sull’economia provocano tristezza ed infelicità. Ma i tanti casi in cui questi cattivi stati d’animo possono sfociare in patologie peggiori, come ansia e depressione o a scelte tragiche come il suicidio, dipendono anche da altri fattori.

Grazie al modello culturale imposto dai mass media, chi ha problemi economici si vergogna di averli. Come se avere problemi a causa della crisi, fosse “qualcosa di cui vergognarsi”. Poi ci sono le parti più ingiuste e assurde delle leggi, dure e inflessibili con i poveri e morbide nei confronti dei potenti.

Un contributo nella rovina della vita alle persone lo dà sicuramente Equitalia, un ente di proprietà dell’Inps (49%) e dell’Agenzia delle entrate (51%) che ha l’incarico della riscossione nazionale dei tributi. Dopo che il governo Berlusconi, nell’ottobre 2011, ha aumentato i suoi poteri, può pignorare e svendere una casa all’asta a distanza di appena 2 mesi dal procedimento.

Equitalia, in questi mesi, è diventata tristemente famosa: vuole i soldi anche da chi non ce li ha, e punisce i “malcapitati di turno” con penali e tassi di interesse che raddoppiano l’importo dovuto in breve termine.

A causa di queste vessazioni centinaia di migliaia di cittadini non vivono più tranquilli, perché non riescono a far fronte alle cifre richieste dagli “strozzini di stato”.

Le “vittime” di Equitalia sono persone che, abitualmente, fanno la dichiarazione dei redditi e pagano le tasse. A causa della crisi economica o di scelte imprenditoriali sbagliate si sono trovate, però, impossibilitate a onorare i debiti fiscali o previdenziali verso lo Stato. Vanno aggiunte, poi, le centinaia di persone che si vedono arrivare cartelle esattoriali per bollette o multe, molte volte già pagate o inesistenti.

Il sistema adottato da Equitalia per i debiti relativi agli anni successivi al 2007, a causa di un meccanismo sanzionatorio e di riscossione perverso che porta le somme dovute a crescere anche del doppio e del triplo nel giro di pochi anni, produce sempre più frequentemente dei risvolti drammatici. In un quadro di crisi come l’attuale, per tante persone, molto spesso impossibilitate a far fronte alle spese “ordinarie”, le richieste di pagamento di Equitalia costituiscono la definitiva rovina. In tanti cadono nel tunnel della depressione e il suicidio diventa la via di fuga, il brusco allontanamento da angosce inaccettabili.

L’epidemia del “suicidio da insolvenza” è una vera e propria malattia sociale che non ha precedenti simili nella storia. E’ il segno di quanto sia “usurante” la moderna “usura bancaria”. Mutui, tassi di sconto, tassi di interesse, debito pubblico, Pil, inflazione, deflazione, banche, borse, denaro, BCE, FMI e agenzie di rating sono i colpevoli di questo killeraggio esistenziale che colpisce soprattutto “esseri umani al culmine della loro maturità esistenziale”. Se i loro bisogni materiali e psicologici vengono sempre più frustrati dagli effetti della crisi e della globalizzazione, il dolore psicologico insopportabile prodotto da questa situazione arriva a mettere in discussione la loro vita (pur di alleviarlo).

Per questo la parola d’ordine del “diritto all’insolvenza”, oltre a rappresentare una forma di resistenza all’austerità, oltre a contestare l’illegittimità delle condizioni imposte dalla finanza per subordinare ai suoi interessi la spesa pubblica, è anche una forma di “terapia sociale” per intaccare l’angoscia e il dolore psicologico delle persone e far scegliere loro la strada di vivere.