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Garante dei detenuti, la strana legalità del Comune

Il Consiglio comunale ha rieletto Elisabetta Laganà “Garante per diritti delle persone private della libertà personale”. Il Tar, con una sentenza, l’aveva dichiarata incompatibile. Critiche erano giunte anche dall’Avoc.

23 Luglio 2012 - 19:56

Che nessuno a Palazzo d’Accursio venga più darci lezioni di legalità o si sciacqui la bocca con campagne a tal proposito. Dopo il voto del Consiglio Comunale di oggi (con 26 voti favorevoli su 36) in cui è stata rieletta Elisabetta Laganà “Garante per diritti delle persone private della libertà personale” di Bologna, le sentenze della magistratura per il Comune di Bologna non solo possono essere legittimante criticate, ma possono essere messe tranquillamente sotto le scarpe.

Qualche mese fa il TAR aveva accolto in ogni sua parte il ricorso contro la nomina della Laganà a Garante comunale dei detenuti, presentato dall’Associazione Papillon.

Secondo l’associazione di detenuti ed ex-detenuti la nomina della Laganà era incompatibile con il ruolo di garante perché in passato era stata giudice onorario del Tribunale di Sorveglanza. Il Tribunale Amministrativo Regionale, con una sua sentenza, aveva accolto questa tesi.

I partiti politici che sostengono la maggioranza in Comune, hanno invece riproposto la psicologa, che lavora per la cooperativa “Il Pettirosso”, sostenendo che il periodo che aveva trascorso come garante aveva fatto saltare l’incompatibilità, in quanto non aveva svolto più la funzione di giudice di sorveglianza onorario. Ventisei consiglieri con il loro voto hanno sposato questa tesi.

Non ci interessa capire quali siano le logiche politiche che stanno dietro questa scelta, ci limitiamo soltanto a dire che, quella del Comune di Bologna, non è stata una gran bella figura… Un tempo si sarebbe detto “un segno dell’arroganza del potere”. Oggi si può tranquillamente continuare a definirlo così.

C’è un’altra cosa che i consiglieri, i presidenti di commissione, gli assessori e il sindaco conoscevano già e che ora noi mettiamo a disposizione dei nostri lettori. Si tratta di una lettera inviata dall’AVOC, l’associazione di volontariato più grande per numero di volontari rispetto alle altre associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti.

La lettera era stata inviata il 28 giugno 2012, dopo l’udienza conoscitiva che l’AVOC aveva tenuto a Palazzo d’Accursio il 16 maggio scorso e dove aveva brillato per la sua assenza l’assessora alle Politiche Sociali. Nella missiva, il presidente dell’associazione, Giuseppe Tibaldi, concludeva: “Devo dire, con rammarico, che perdurando questa situazione, dovremo prendere in esame l’eventualità di cessare il nostro volontariato in carcere, che in gran parte supplisce istituzioni che non ci considerano neppure come interlocutori con cui interagire”.

Ecco cosa disse il responsabile dell’AVOC:
 “(…) Dato che molti istituti penitenziari sono governati “manu militari” e dato che nel momento dell’avvicendamento spesso avviene che il nuovo direttore si propone di cambiare quello che è stato fatto prima, col pretesto che occorre rimettere ordine, penso che sia compito della politica, a livello locale non di sostenere candidati, ma di affermare con decisione al Ministero che la linea di umanità perseguita dall’ultima direzione deve essere salvaguardata ad ogni costo. Di avvicendamenti all’insegna del “rimettere le cose a posto” e dei conflitti che immediatamente sorgono, abbiamo già fatto esperienza in passato in questa casa circondariale.

Il problema del lavoro durante la detenzione si sta aggravando ogni giorno di più per la mancanza di risorse, ma non si possono lasciare le persone nell’inerzia solo perché è impossibile pagarle. A nostro parere il volontariato e l’ente locale debbono creare spazi per forme di lavori volontari gratuiti e socialmente utili dentro e fuori del carcere, che siano adeguatamente valutati nell’ambito del trattamento e che diano un senso alla concessione dei benefici. In questo modo, tra l’altro, il volontariato potrebbe crearsi visibilità e spazi di intervento fuori dal carcere, come taluni auspicano.

La tutela dei diritti dei detenuti: i detenuti della nostra Casa circondariale sono cittadini di Bologna e il Sindaco, la Giunta, la Garante ecc, devono occuparsene. Il problema è che i diritti dei detenuti si presentano in maniera diversa da quelli di chi vive in libertà:è più importante per un detenuto la libertà di stampa o indossare biancheria pulita?
Se Sindaco e Garante non riescono a immedesimarsi con la condizione del detenuto, almeno si confrontino con quanti in carcere entrano per procurargli quanto è indispensabile almeno per una salvaguardia minima dell’igiene e conoscono le mille offese ai diritti del detenuto, che vengono perpretate nei luoghi di reclusione in tutta Italia.

Poi ci sono i problemi dei fondi per il carcere: Regione, Provincia, Comune ne hanno? Come li utilizzano e li suddividono? Quando il Comitato carcere e città era operante di queste problematiche almeno si discuteva.
Concludo con un problema che certamente non è secondario. Non posso valutare l’interessamento della Giunta e del Sindaco ai problemi del carcere, quindi non posso dire se si tratti di un problema di sostanza o di mancata visibilità. La garante di un tempo, Desi Bruno, era attivissima e aveva dato vita a incontri periodici sulle problematiche del carcere e della giustizia, che venivano sintetizzati in un bollettino molto utile, contenente anche relazioni periodiche sull’attività della garante.

Questo flusso di informazioni è completamente cessato con la nuova Garante (la dott.ssa Laganà, ndr) e i compiti tipici del garante (difesa della dignità del detenuto e della sua salute ) ricadono sulle associazioni di volontariato.

Un esempio: per garantire un vitto più abbondante ai detenuti,attraverso nostri contatti personali, abbiamo sollecitato con successo l’ufficio competente in Regione ad assicurare, con cadenze periodiche ravvicinate ,una copiosa distribuzione ai detenuti delle eccedenze di frutta e verdura che altrimenti andrebbero distrutte. Il trasporto veniva effettuato dalla Caritas, che ora non è più disposta a sostenere le spese per il servizio. Per quanto ne so, Comune e Regione non si mettono d’accordo per sovvenzionare il trasporto. Quindi il vitto del detenuto perderà un prezioso arricchimento, non per la mancanza di materia prima, ma solo perché non si provvede al trasporto, a meno che ancora una volta il volontariato non intervenga finanziarmene, come del resto, ha già fatto procurando le vernici per l’indispensabile igienizzazione delle celle.

E’chiaro che un garante che tenesse monitorate queste situazioni, potrebbe intervenire con ben altra autorevolezza rispetto a quanto riuscirà a fare la nostra associazione sulla quale il problema sta ricadendo.

Numerosi altre questioni abbiamo sottoposto all’attenzione della Garante di Bologna subito dopo la sua elezione, in data 24.10.2011, per il quinquennio 2011-2016:
– chiarimenti circa le modalità’ dell’assistenza sanitaria e circa l’idoneità dell’edificio della Casa circondariale,per la denuncia di eventuali carenze;
– miglioramento dell’organizzazione dei colloqui; contatti e iniziative per assicurare occasioni di lavoro all’interno e all’esterno del carcere;
– iniziative a tutela del diritto allo studio;
– stesura di un protocollo con la direzione per assicurare regole certe ed uguali nel rapporto con i volontari;
– difesa del diritto del detenuto ad avere il sostegno del volontario e quindi tempi di concessione rapidi degli art.17 ai volontari richiesti dalle associazioni;
– interventi presso l’INPS e l’Amministrazione penitenziaria per facilitare il lavoro dei volontari che prestano aiuto per quelle incombenze burocratiche che l’Amministrazione non assicura,ma che sono necessarie per il detenuto (riscossione di sussidi, pensioni,indennità di disoccupazione;riordino dei contributi assicurativi ecc.);
– possibilità di conferire con la garante in tempi rapidi e certi e quindi conoscenza del suo orario di ufficio.

Per ora tutte queste richieste, del tutto compatibili con il ruolo del garante sono rimaste lettera morta, tranne uno sporadico incontro tra i volontari e il responsabile dell’assistenza sanitaria”.

Non pensiamo ci sia bisogno di altri commenti.