Attualità

Firenze / “Maghero”, un’altra morte di violenza in divisa

San Frediano, 3 marzo. La vittima, un ex calciatore, che chiede aiuto. I militari su di lui, l’ambulanza senza un medico. C’è una testimone.

25 Aprile 2014 - 18:26

Di Checchino Antonini da Popoff

Sarà ancora Fabio Anselmo, avvocato ferrarese che seguì il caso Aldrovandi, a rappresentare la famiglia di Riccardo Magherini, l’ex calciatore morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto, anche stavolta, lascerebbero poco spazio all’immaginazione. I segni e i rumori del trattamento riservato dai carabinieri a una persona che chiedeva aiuto. Le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico. Tutti ingredienti di un film già visto nei casi Aldrovandi, Cucchi, Ferrulli, Uva, Budroni, Rasman. Casi che – a un punto morto delle indagini – hanno incrociato il legale ferrarese.

Oltr’Arno, al lato della Chiesa del Cestello, a Borgo San Frediano, un pennarello verde ha lasciato una piccola scritta: “Carabinieri assassini”. Altri hanno incollato poesie sulla vita e sulla morte. Segni minimi di sconcerto e dolore. Sulla facciata della Chiesa, la foto e i fiori per Riccardo, “Maghero”.

«Ho visto che lo picchiavano mentre era a terra, già immobilizzato, che gli arrivavano i calci al fianco. E lui gridava… – racconta Sara, una ragazza che lavora in zona e quella notte stava tornando a casa – Riccardo quella sera era una persona sconvolta, quando i carabinieri sono arrivati gli hanno detto”stai calmo”e poi hanno iniziato a cercare di immobilizzarlo. Durante tutta l’operazione, che è stata molto difficoltosa, non gli hanno più rivolto parola, neanche quando era ormai a terra ammanettato, non hanno provato a chiedergli cosa fosse accaduto, da chi scappava, a stabilire un rapporto per calmarlo. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Queste persone sono in grado di riconoscere attacchi di panico, fobie, o altri sintomi? Sono formate per fare un lavoro di strada che inevitabilmente ti porta a contatto con tutta una serie di problematiche? Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

L’audio è agghiacciante: «Ahia!.. aiuto! aiutatemi!… aiuto! sto morendo… sto morendo… sto morendo! – e, sempre più flebile – ahia, aaaaaah, ahia!…». Magherini era già stato bloccato a terra, in Borgo San Frediano tra l’ex cinema Eolo e la Chiesa del Cestello, da quattro carabinieri intervenuti, sullo sfondo tra i rumori dell’audio, la sirena dell’ambulanza. «A un certo punto smette di urlare, uno dei carabinieri chiede “perche sta zitto?”, si accerta se respira…». Questo passaggio è sbagliato, sono io che ho chiesto: perchè si è zittito all’improvviso? E un altro ragazzo ha chiesto “respira?” e un carabiniere a risposto “Si”Da almeno mezz’ora era in piena crisi di panico e gridava nelle strade del quartiere che qualcuno lo voleva ammazzare. Dall’altra parte dell’Arno l’ambasciata degli Usa aveva segnalato la presenza di un uomo che urlava. C’è un ponte a separare quel palazzo da Borgo San Frediano dove, pochissimi minuti prima del violento “fermo”, Magherini era entrato in una pizzeria chiedendo a un addetto di poter usare il suo telefonino per chiamare la polizia perché qualcuno voleva ammazzarlo.

«Quella scena ci ha turbato, Riccardo aveva bisogno di essere aiutato, non di essere arrestato, ci sarebbe voluta la presenza di un medico da subito, di un approccio anche psicologico che avrebbe potuto cercare di calmarlo». «Basta calci! – diceva la gente quella notte (la procura ha sentito una settantina di testimoni oculari) – chiamiamo un’ambulanza». Era l’ora in cui chiudono i locali. Tutto s’è svolto sotto lo sguardo incredulo di parecchie persone. Continua la ragazza: «A fermarlo in quel modo, con quella crisi di panico, aggiungi paura alla paura». «Urlava, si divincolava, non riuscivano a bloccarlo e, dopo averlo ammanettato quei calci gratis…….». Dal video sembra di sentire l’anfibio schiantarsi sulle ossa della faccia. Le foto potrebbero essere eloquenti. «La gente urlava», ripete la ragazza e ricorda che l’ambulanza, la prima non aveva un medico a bordo, lo trova «col petto a terra. L’infermiere disse che respirava. Nessuno dei carabinieri gli ha mai rivolto la parola. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

Gli occupanti del Malborghetto e dello squat anarchico Panico, alcuni giorni dopo i fatti, di comune accordo con i familiari hanno organizzato un momento di ricordo nel parco di Piazza Tasso, nel quartiere di San Frediano dove Magherini viveva ed era conosciuto da tutti. Il primo avvocato della famiglia ha dichiarato pubblicamente di non voler procedere a indagini parallele, ribandendo la fiducia nelle indagini ufficiali. Ma tutto questo è accaduto a Firenze, città che vanta due migranti morti nella cella di sicurezza della questura, spiegano ad Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, un pestaggio ad opera della squadra antidegrado della municipale ai danni di due senegalesi, l’insabbiamento dell’inchiesta sulla strage di piazza Dalmazia, il pestaggio di richiedenti asilo ad opera di due agenti in borghese nell’albergo dove vivono per sei mesi coloro che hanno ottenuto l’asilo politico. E ora la vicenda di Magherini. Un infermiere che era in servizio la sera in cui hanno portato Magherini al pronto soccorso sarebbe certo che i segni del soffocamento fossero evidenti.

I familiari di Maghero si sono rivolti ad Anselmo «dopo essere rimasti colpiti da un’intervista tv di Patrizia Moretti, sono risaliti a lei, incontrandola il 14 aprile, e poi a me. Mi hanno raggiunto a Perugia dove seguo il caso Bianzino e poi sono venuti qui a Ferrara», come ha raccontato lui stesso al sito Estense.com. «Gli schemi di depistaggio e difesa sono più o meno sempre uguali, i comportamenti istituzionali anche e noi abbiamo imparato a conoscerli – continua Anselmo – m a probabilmente scelgono me per un fattore legato alla ribellione e alla mistificazione giudiziaria che passa attraverso il processo alla vittima anziché agli imputati». Come nei casi Aldrovandi, Ferrulli e Rasman, anche stavolta c’è un arresto o presunto tale posto in essere da più agenti, in questo caso carabinieri, con modalità violente e con compressione a terra in posizione prona che si protrae molto probabilmente oltre i limiti del lecito. La sequenza filmata, inedita finora, è davvero inquietante. «No, non sono casi isolati e non lo dico io, ma gli organismi di controllo pubblico europeo e internazionale. Esiste una mentalità e una cultura che fa sì che i protagonisti – che sono sempre più numerosi – di queste vicende non vengano lasciati soli davanti alle loro responsabilità, ma godono di una solidarietà ferma, forte e vibrante da parte di istituzioni e sindacati. Un esempio? Lo scorso febbraio il sindaco di polizia Sap ha chiesto la revisione del processo Aldrovandi e ha invitato a Ferrara i quattro agenti condannati per il loro congresso».

“Spirito di corpo”, come alla Diaz, e ritrosia da parte di alcuni pubblici ministeri a mettere in discussione il loro rapporto con gli organismi con i quali collaborano quotidianamente. Ma questi due elementi, spesso, incrociano la rabbia di legali come Anselmo e dei comitati spontanei che si raccolgono attorno ai parenti delle vittime, che stanno imparando a mettersi in rete, che fanno controinformazione e gettano semi perché in futuro non debbano più accadere cose del genere.