Editoriale

Editoriale / Il marketing della paura,
sulla pelle dei poveri

Merola, bisognoso di rilanciare la propria immagine, sfodera il Daspo puntando su una rappresentazione della città in stato di emergenza permanente e sul fidato Malagoli, con i suoi vecchi trascorsi tra palazzetto e manifestazioni.

27 Novembre 2017 - 11:29

(Comune Palazzo D'Accursio - foto Zic)“Dire che a Bologna c’è la repressione contro i poveri è una balla senza fine che fa parte di un estremismo impavido”, così il sindaco Virginio Merola ha difeso i suoi primi Daspo urbani che hanno sanzionato dieci persone che “bivaccavano sotto il portico di viale Masini” e che se ne stavano “sdraiate su materassi, accerchiate da numerose masserizie, impedendo di fatto la fruizione del passaggio pedonale nelle vicinanze di infrastrutture ferroviarie”.

Sì, Merola ha ragione, siamo estremisti imperterriti e, pertanto, gli rispondiamo che non era necessaria la “doppia tessera” (quella del Pd e di Campo Progressista) per dare alla luce uno dei provvedimenti più odiosi e inutili che si siano mai visti sul nostro territorio.

Odioso perché considera la povertà che si vede nelle strade (di Bologna come di altre città) al livello della polvere da nascondere sotto lo zerbino. Non siamo noi che vogliamo “strumentalizzare”, ma sta scritto nel report dell’amministrazione che “tutte le persone si sono allontanate consentendo agli operatori di Hera la pulizia dell’area”. L’accostamento tra senzatetto e “spazzatura qualunque” l’hanno fatto loro.

E’ un provvedimento inutile, perchè lo stesso Merola riconosce i limiti: “E’ una soluzione il Daspo? Assolutamente no, andranno da altre parti. Ma, intanto, rispondiamo ai cittadini che sono mesi che non ne possono più di questa situazione, com’è normale che sia… E’ uno dei tanti provvedimenti inventati per risolvere qualche situazione, non è la soluzione”.

Noi estremisti saremo pure animosi e ostili, ma se c’è una cosa ancora più fastidiosa in tutta questa vicenda è che il provvedimento ha fatto riprendere la parola ad “Aquila delle ruspe” Cofferati, tra i sindaci peggiori e più reazionari che Bologna abbia avuto dal dopoguerra ai giorni nostri.

“Per fortuna che lo sceriffo ero io… le cose che mi venivano rimproverate oggi tengono banco”, ha detto il Coffy.

Virginio Merola è stato uno degli assessori più allineati e fedeli dell’ex segretario della Cgil, quando questi venne traghettato sotto le Due Torri. Sicuramente dal Cinese ha imparato l’uso politico della drammatizzazione delle paure diffuse per finalità di rilancio d’immagine. Il “marketing della paura e della sicurezza” è quello sport estremo che ha fatto continuamente gareggiare gli esponenti del centro-sinistra con i leghisti e che prevede sempre il motore su di giri, dato che i toni bassi non pagano.

Che Merola sentisse il bisogno di una campagna di rilancio della sua immagine, dopo le vicende del congresso del Pd e l’isolamento che vive quotidianamente rispetto agli esponenti del suo partito, ci può stare. Ma che questo dovesse avvenire attraverso la “guerra alle biciclette” o quella ai dieci poveracci di via Masini, dimostra come la “mediatizzazione” della politica possa diventare disastrosa quanto la “finanziarizzazione” dell’economia.

Il sindaco, all’inizio del suo secondo mandato, si dotò di un numeroso e costoso team di giornalisti perché, disse, si doveva comunicare meglio, rispetto ai cinque anni precedenti, gli interventi dell’amministrazione.

Pensiamo che, quotidianamente, il gruppo di comunicatori di Palazzo D’Accursio, su indicazione del sindaco e degli assessori, debba scegliere gli argomenti che danno maggiori “profitti” (consensi) nel tempo più breve. Ma se i risultati che abbiamo visto sono quelli che ci sono stati propinati in diverse occasioni c’è da esserne preoccupati.

Certo, ci sono da modellare argomenti complessi come quelli rappresentati dalle paure reali o percepite come tali da larghe fasce della popolazione, ma se si pensa di placare i sentimenti di frustrazione diffusa promettendo ai cittadini bolognesi sicurezze e certezze indisponibili in questa epoca o, ancora peggio, usando strumentalmente diversi tipi di “simboli-canaglia” (una volta i graffitari e quell’altra i lavavetri, una volta un centro sociale “incompatibile” col territorio circostante e un’altra un’occupazione di case, una volta la movida troppo alcolica e fracassona e l’altra i Rom che non sono disposti a farsi integrare), maneggiando i “nuovi pacchetti sicurezza” con l’ansia da prestazione, si creano effetti collaterali irreversibili e, guarda caso, sempre contro i soggetti più deboli e indifesi.

Il percorso scelto da Merola e dai suoi collaboratori è basato sulla costruzione (in gran parte virtuale ) di una rappresentazione della città in stato di emergenza permanente. L’utilizzo di azioni impattanti e l’ossessivo richiamo alla legalità diventano una necessità. Così come è doverosa una delega di consenso passivo pressoché totale, che ha come conseguenza un linguaggio sgradevole e allusivo a incompetenze e disinformazione di chi non sta con il sindaco.

Quando, nel 2007, il ministro dell’Interno Amato propose un pacchetto che aumentava il potere dei sindaci in tema di sicurezza, Cofferati non mancò di riproporsi come primo della classe: “La proposta di Amato è arrivata in queste ore, noi stiamo lavorando da settimane e settimane, ma se ci sarà altra strumentazione noi la useremo di buon grado”. E, a sua volta, presentò un suo pacchetto da vero “sindaco sceriffo”: reclusione per i graffitari che imbrattavano o danneggiavano, tutela legale ai privati che andavano in giudizio per le scritte sui muri, un piano straordinario di pulizia su tutta la città, la proposta di vietare la vendita delle bombolette spray agli under 18, la promessa di intensificare i controlli (con l’aiuto delle forze dell’ordine) e l’applicazione rigida delle norme già esistenti.

Quando, all’inizio del 2017, si cominciò a parlare del decreto Minniti, Merola dichiarò: “Questa è un’ottima notizia che va nella direzione che auspicavo da tempo. I sindaci avranno maggiori poteri sulla polizia urbana, sugli orari e le attività e nuovi strumenti per intervenire in maniera puntuale sulla sicurezza… Dobbiamo ovviamente capire meglio i confini nei quali ci muoveremo anche rispetto al provvedimento che è stato battezzato Daspo urbano, ma sento che, finalmente, c’è un’idea del rapporto con le città che prevede un diretto coinvolgimento dei sindaci”.

Dopo l’approvazione, il sindaco applaudì: “Lo applicheremo con la massima efficacia… Il decreto Minniti modifica l’articolo 639 del codice penale e prevede che il giudice possa disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi per chi si macchia di atti contro il decoro urbano… Quando verranno beccati, chiederemo ai giudici di fargli ripulire i muri… Potremo intervenire con maggiore puntualità e determinazione… Il decreto Minniti ci dà possibilità ulteriori che dovremo tradurre in un nuovo patto sulla sicurezza… Bisogna proteggere i cittadini dalla tossicodipendenza, dalla delinquenza e dai maleducati”.

Niente di cui stupirsi, dunque, quello che è avvenuto la sera del 22 novembre era stato anticipato e preparato da tempo.

Ma dato che noi estremisti ci risentiamo molto facilmente e, a volte, siamo anche rancorosi, in questa occasione ci prendiamo pure la libertà di dire due parole sull’altro amministratore pubblico che ha alzato la voce nei confronti di chi si è permesso di criticare l’applicazione, per la prima volta a Bologna, del Daspo urbano. Si tratta dell’assessore alla Sicurezza, il permaloso Riccardo Malagoli, che non ci sta a fare la parte del cattivo e respinge le critiche ai mittenti: “Si tratta di una misura necessaria nei confronti di persone che hanno rifiutato sempre qualsiasi aiuto. Nella zona si era creato un piccolo campeggio e i residenti non erano contenti di dover scavalcare queste dieci persone per entrare in casa. E poi queste persone sono dei clochard che in alcuni casi si guadagnano da vivere proprio sui viali come lavavetri”.

Eccoli ancora lì quei “maledetti” lavavetri. Cofferati lo diceva sempre: “La multa serve anche se non pagano. La deterrenza non va sottovalutata. Tra i vigili urbani di Bologna si dice che è pressoché impossibile fare pagare una multa ai lavavetri. Ma anche in questo il costo della carta bollata è ben speso. Può darsi che qualcuno non paghi la multa, ma chi viene individuato e multato sa di essere individuabile e multabile”.

Quindi, anche se per i dieci di viale Masini quel Daspo non cambierà di molto la loro vita (andranno da un’altra parte e continueranno ad essere dei senza tetto), per la società è “importante” che la legge abbia individuato la loro povertà come un’insidia per la sicurezza dei cittadini.

L’ha detto pure Claudio Mazzanti, il capogruppo del Pd in Consiglio comunale: “Si tratta di poveri, ma anche di persone che hanno rifiutato di entrare in un percorso di recupero e hanno adottato comportamenti scorretti”.

E anche Merola non è stato da meno: “Ci sono quelli che non vogliono farsi aiutare che, com’è noto, si chiamano Rom. Io la loro posizione la rispetto, ma loro devono rispettare la nostra città”.

Tornando al Daspo e a Malagoli ci piace ricordare che lui, da ragazzo, un Daspo l’ha rischiato più di un’occasione, quando al Palazzo dello sport, da tifoso della Fortitudo, non si tirava indietro se c’era da fronteggiare i tifosi della squadra ospite o andare a strappare qualche sciarpa o bandiera agli avversari del basket. Poi, qualche anno dopo la sua ribellione giovanile la inquadrò in una situazione più strutturata come la militanza in Rifondazione comunista. Era attivo nel servizio d’ordine e, nelle manifestazioni di piazza, lo si ricorda a fronteggiare la polizia in piazza Nettuno, durante la contestazione della parata militare il 2 giugno 2003. E l’anno dopo, il 4 giugno 2004, c’è chi giura che fosse a Roma, sulla Tangenziale, all’altezza di San Lorenzo prima, e poi in via Cristoforo Colombo, a bloccare le arterie di accesso alla città, per protestare contra la visita del presidente americano Bush e della sua scelta di invadere l’Iraq.

Poi, nel mandato Cofferati, divenne presidente di quartiere a San Donato. Si mise giacca e cravatta e da quel giorno non se le levò più. Quando Rifondazione uscì dalla maggioranza che sosteneva il Cinese, lui decise di uscire dal partito e di rimanere presidente di quartiere. Poi, nel primo mandato di Merola, entrò in giunta in quota Sel. Quando cominciarono ad esserci problemi tra Sinistra Ecologia e Libertà e il Pd, lui si allontanò in silenzio da Sel, optando per la continuazione del suo incarico da assessore. In questo mandato è stato nominato dal sindaco come un fuori quota, come uno dei suoi uomini di fiducia e di maggior polso. Malagoli, nel corso degli anni, è stato in grado, a seconda della bisogna, di ricoprire cariche che hanno spaziato dalla casa ai lavori pubblici, fino alla sicurezza. Rimarrà nella storia per essere stato il primo assessore bolognese ad applicare un Daspo urbano, previsto da una legge che, per la prima volta dal 1938, discrimina una parte sociale sulla base della sua condizione: la povertà.