Editoriale

Editoriale / Good morning, via Zamboni

La lotta dei lavoratori Coopservice e lo sfruttamento nel salotto buono della città. L’Università che ammette, la Cgil che non si smentisce: “Negare, negare, negare”.

03 Aprile 2014 - 12:30

Le mobilitazioni della logistica, nei mesi scorsi, hanno avuto l’indubbio merito di di accendere una luce su un mondo sconosciuto ai più svelando, all’ombra dei grandi magazzini disseminati nella cintura bolognese, gravi situazioni di sfruttamento e precise responsabilità in capo ai diversi nodi della filiera degli appalti. La lotta dei lavoratori Coopservice, che è scoppiata negli ultimi giorni e sta proseguendo anche oggi con nuovi blocchi in via Zamboni, è come se avesse preso il testimone dai facchini scagliandolo nel cuore della città, nel suo salotto buono, tra le aule della “eccellente” Alma Mater: dimostrando, a chi ancora avesse bisogni di prove, che lo sfruttamento non si annida solo ai margini del tessuto produttivo e sociale di Bologna, ma ne è cuore pulsante. Un salutare choc che, con le battaglie dei facchini, condivide un altro dato di fatto che va riconosciuto e con cui è opportuno confrontarsi: prima i magazzini paralizzati e oggi i grossi portoni di via Zamboni chiusi e picchettati, un giorno dopo l’altro, dimostrano che il passaggio dalle lotte “simboliche” a quelle reali è possibile, che si può colpire, che si può (ce lo auguriamo) perfino vincere.

Non è un caso che la vertenza dei dipendenti Coopservice, pagati pochi euro all’ora, negli ultimi giorni sia riuscita a raccogliere solidarietà e strappare spazio sulla stampa mainstream. Perfino i vertici dell’Ateneo hanno dovuto riconoscere, nei fatti, che quei lavoratori hanno ragione. Il rettore Ivano Dionigi ed un paio di prorettori, a più riprese, hanno dichiarato che “la situazione è drammatica”, che “è ingiusto lavorare per quattro euro all’ora”, che “qualcosa non va” nel meccanismo degli appalti, che nemmeno il Governo può sentirsi al di sopra di questa situazione. Nulla che riduca le responsabilità dell’Università, nè ponga in secondo piano il fatto che, finora, le parole non hanno portato risultati di una qualche concretezza. L’Ateneo scarica il barile e attacca i blocchi definendoli “inaccettabili” ma, quanto meno, Dionigi & Co. hanno avuto il buon gusto di non negare l’evidenza.

Buon gusto che, ovviamente, non si può riconoscere a tutte i soggetti coinvolti nella vertenza. Questo vale sicuramente per la Coopservice. Ennesima dimostrazione di cosa si celi dietro i volti sorridenti della cooperazione, i bilanci sociali e gli slogan da Pubblicità progresso. Fa sorridere, amaramente, che quando scoppia un caso come quello Coopservice ci sia ancora qualcuno che si chiede “ma possibile che le famose coop rosse siano andate a finire così?”. Good morning, Vietnam.

Ma c’è chi riesce perfino a fare peggio. Ieri, infatti, è circolato un comunicato, durissimo, della Filcams-Cgil (sigla di categoria che, insieme alla Cisl, ha firmato prima l’accordo che ha portato alle riduzioni in busta paga dei lavoratori attualmente in sciopero e poi, più recentemente, il famigerato aumento da pochi centesimi l’ora). Nel comunicato, la Filcams si dimostra più realista del re ed afferma che “le cifre riportate sulla paga oraria” dei lavoratori di Palazzo Paleotti “sono del tutto prive di alcun fondamento”. Segue la solita sfilza di accuse, evidentemente tratte dal prontuario a cui in casa Cgil si mette prontamente mano quando qualcuno, e non ci vuole poi molto, scavalca “a sinistra” il sindacatone di Susanna Camusso: la Cub e gli studenti che lottano con i lavoratori “non rappresentano nessuno”, rilasciano solo dichiarazioni “faziose” e “strumentali” con il solo scopo di “buttare benzina sul fuoco”, mentre invece servirebbe “senso di responsabilità”. Eppure: perfino l’Ateneo ha ammesso che la situazione è drammatica; i portoni di via Zamboni sono proprio chiusi, mica accostati per evitare le correnti d’aria, dunque ci sono parecchi “nessuno” in sciopero; i lavoratori, che non fanno i sindacalisti nè sono studenti che “giocano” alla rivoluzione, sono in prima fila nei picchetti e parlano a testa alta di fronte al rettore o alle telecamere, esponendosi a conseguenze facilmente immaginabili perchè, evidentemente, non hanno molto da perdere. Ma questi, in casa Cgil, sono dettagli. Good morning, via Marconi.