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E dopo Giurisprudenza il rettore minaccia l’intervento della polizia

Ubertini sui collettivi antifascisti: “Isolare queste azioni o l’unica alternativa sono le forze dell’ordine”. Il Cua: “Smascherare l’ipocrisia che spesso si vuole nascondere cianciando di libertà di parola”. E Hobo ironizza sulla ‘sparizione’ di Azione universitaria.

11 Ottobre 2017 - 18:46

Dopo la mobilitazione antifascista che lunedì ha impedito che in Università si svolgisse l’iniziativa di Azione Giovani, il rettore Francesco Ubertini minaccia i collettivi evocando l’intervento della polizia in Ateneo. In merito all’intervento degli studenti antagonisti, Ubertini oggi ha dichiarato che bisogna “isolare in maniera ferma questo tipo di azioni. La critica è sempre lecita, gli atti violenti per imporsi contro le regole democratiche mai. Bisogna eliminare qualsiasi fonte che alimenti tutto questo… altrimenti, l’unica alternativa è quella delle forze dell’ordine. Non ce ne sono altre, anche se dovrebbe essere l’extrema ratio”.

Intanto, anche il Cua ripercorre quanto accaduto due giorni fa: “Cominciamo dal principio. Questo lunedì, come studenti e studentesse antifascisti di questa città ci siamo presi una responsabilità. In via Zamboni 22, sede del dipartimento di giurisprudenza, avrebbe dovuto tenersi un dibattito organizzato dall’associazione fascista Azione Universitaria. Tale dibattito, a partire da una discussione sulla guerra in Siria, avrebbe condotto negli spazi della nostra università non solo i membri di questa spregevole associazione, ma al loro seguito redattori e editorialisti della rivista Eurasia, il cui direttore, Claudio Mutti, è noto per le simpatie stragiste e le amicizie nel noto gruppo terroristico fascista Ordine Nuovo. Occupato l’ingresso della Sala Armi che avrebbe dovuto ospitare il convegno e scovata la dirigenza universitaria abbiamo preteso l’immediata revoca dell’autorizzazione al convegno. Dopo ore di pressione il convegno è stato finalmente annullato ma l’università, schivandosi come di consueto dalle sue responsabilità, ha deciso di chiudere i battenti e di sospendere tutte le attività, didattiche e non, previste in via Zamboni 22, imponendo di fatto una serrata. Ora, tutte queste cose sono note. Avevamo annunciato le nostre intenzioni, ci siamo comportati di conseguenza e, con chiarezza, abbiamo narrato pubblicamente la genesi, lo sviluppo e la conclusione dell’episodio. Se ne è parlato e se ne parlerà nelle aule studio, nelle pause caffè, nei corridoi e nelle piazze di questa città; chi doveva capire ha capito, degli altri non sta a noi dire. Potrebbe non esserci più nulla da aggiungere, potrebbe, per il momento, essere a posto così. Eppure, vista la tanta confusione inappropriata e i tanti commenti surreali che sono stati fatti da più parti in merito alla faccenda ci sentiamo di dover ribadire almeno un paio di cose, non per star dietro a quattro cornacchie inacidite o ai giudicini da tastiera, la cui carriera rimane un’insignificanza sospesa tra il click che li genera e quello che serve dimenticarli, ma per evitare che, nell’isteria generata dal polverone che si è voluto montare, si perdano di vista alcune semplici cose”.

Continua perciò il Cua: “In primo luogo riteniamo che, in questo caso più che mai, sia necessario smascherare l’ipocrisia che spesso si vuole nascondere cianciando di libertà di parola. La libertà di parola è una cosa seria, troppo seria perché si lasci che diventi la giustificazione delle operazioni più squallide. Se l’Università di Bologna non è in grado di vigilare su quel che avviene sotto al proprio naso, tanto da fare in modo di non accorgersi che, sostanzialmente a sua insaputa, l’universo culturale politico legato allo stragismo fascista, datosi il tono di circolino intellettuale eterodosso, sta per tenere in un’aula universitaria un convegno senza contraddittorio per sentenziare su uno dei conflitti più gravi e sanguinari degli ultimi anni; se gli stessi vertici universitari ammettono di essere di fatto stati ingannati e tenuti all’oscuro del contenuto dell’evento, di cui, sempre senza che lo sapessero, risultavano come promotori, allora forse dovrebbero avere la decenza di assumersi le proprie responsabilità. Nascondersi dietro al dito della libertà di parola per cavarsi di impiccio è veramente penoso in questo frangente e avvilisce il valore di cui ci si vorrebbe fare paladini. Ammettere un errore del genere sarebbe il minimo per chi ha responsabilità in un’istituzione culturale del valore dell’Unibo; i vertici di Giurisprudenza, invece, preferiscono proteggere la propria immagine utilizzando le peggiori sciocchezze, ammettendo da un lato la propria negligenza, che di fatto li configura come responsabili effettivi di quel che è avvenuto, premurandosi dall’altro di defilarsi starnazzando sulle presunte lesioni alla libertà di parola. Così, semplicemente, stanno le cose; poi , se qualcuno preferisce credere che consentire a dei fascisti di tenere un convegno in difesa dell’operato di una dittatura sanguinaria abbia qualcosa a che fare con la libertà, faccia pure; noi, dal canto nostro, non ammetteremo mai che una cosa del genere avvenga nella nostra università. Lo abbiamo già detto: impedire ai fascisti di parlare è una lotta per la libertà di tutte e tutti! Fatta chiarezza su questo, ancora una cosa ci preme dire. L’iniziativa che stava per tenersi lunedì nella colpevole negligenza dei vertici accademici ci ha fatto venire il sangue agli occhi non solo per la gravità di quello che, in quanto operazione dal significato schiettamente politico, rappresentava, ma anche perché non abbiamo potuto fare a meno di sentirci chiamati direttamente in causa, non solo come studenti e studentesse antifascisti, ma anche come persone, uomini e donne che costruiscono le proprie biografie esistenziali e politiche nella quotidianità del nostro mondo globalizzato. Fin dal primo giorno ci siamo assunti la responsabilità di comunicare nella nostra città lo sforzo eroico dei milioni di esseri umani, di diverse etnie, provenienze ed età che stanno ormai da anni mettendo in gioco la propria vita per una speranza di giustizia e libertà nella Siria del Nord; di comunicare la potenza della Rivoluzione in Rojava. Il sacrificio di questi uomini e queste donne, che ogni giorno ci commuove e ci emoziona, ha avuto e continuerà ad avere la nostra vicinanza, il nostro sostegno e la nostra disponibilità a fare tutto ciò che è in nostro potere per collaborare alla realizzazione del sogno di cui si fanno portavoce per tutta l’umanità. Su questo non ci possono essere dubbi o fraintendimenti. Le scemenze culturaliste e i calcolini geopolitici li lasciamo a chi pensa di trasformare la storia guardandola da casa. Dal canto nostro non abbiamo dubbi a tracciare la linea dell’inimicizia al di qua di dove la soggettività si mette in modo per la liberazione della classe e il popolo si decostruisce per andare oltre lo stato, infrangendo ad ogni grado i legami oppressivi su cui si basa il potere nella comunità immaginaria. Per cui, ribadiamolo un’altra volta, l’anti imperialismo ha un valore se usato in senso rivoluzionario, chi se ne fa scudo per nascondere le proprie aspirazioni reazionarie dovrebbe smettere di non considerare ovvio il suo stare dalla parte di Claudio Mutti e dei suoi. Viva l’Antifascismo! Viva la Rivoluzione del Rojava!”.

Hobo, infine, rilancia su Facebook un video (dalla pagina Aurelio Band) che ironizza sul fatto che l’annuncio dell’associazione di destra, intenzionata a svolgere la propria iniziativa a Giurisprudenza, alla fine sia andato a vuoto: “Se hai notizie di Azione universitaria, chiama o scrivi a ‘Ndo l’hai visto?”.