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Diritto d’asilo? Solo per chi ha già un tetto

La Questura chiede ai richiedenti protezione internazionale la documentazione sulla disponibilità dell’alloggio, violando le norme. E’ la denuncia dell’Associazione Ya Basta. Intanto il Coordinamento Migranti annuncia una serie di assemblee in tutta la regione.

04 Maggio 2018 - 12:35

“Dall’introduzione della cosiddetta legge Bossi-Fini il legame tra la casa e il permesso di soggiorno è divenuto un vero e proprio vincolo di legalità per i cittadini migranti, al punto che il cittadino straniero che esibisce la documentazione riguardante il lavoro e il pagamento delle tasse ma non quella relativa all’abitazione si vede rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno. Da tempo la stessa sorte investe invece chi presenta la domanda di protezione internazionale, in aperta violazione della normativa in materia, che all’art 5 del Decreto Legislativo 142/2015 prevede una semplice auto-dichiarazione dell’interessato del luogo di domicilio o residenza”. E’ la denuncia dello Sportello Migranti Associazione Ya Basta,  che interviene su “domicilio e rinnovo del permesso di soggiorno, revoca dell’accoglienza e iter della domanda di asilo, richiesta di protezione internazionale e casa”.

A Bologna “il richiedente asilo che si presenta agli uffici Immigrazione e Asilo della Questura per avviare la richiesta di protezione internazionale, o per rinnovare il permesso di soggiorno per richiesta asilo nell’attesa dell’audizione presso la Commissione Territoriale, si vede consegnare per iscritto la richiesta di presentare la documentazione sulla disponibilità dell’alloggio, ossia la dichiarazione di ospitalità da parte della persona che lo accoglie, il contratto di locazione con il consenso del proprietario della casa e la fotocopia del documento di identità sia del locatario che del locatore. Senza questi documenti non parte nessuna procedura. No casa? No richiesta protezione”, è questa la fotografia dello sportello per i migranti sulla situazione dei richiedenti asilo in città.

E, si aggiunge, “le conseguenze visibili di tale richiesta sono di almeno due tipi: il primo è l’archiviazione della domanda di protezione internazionale e l’ingresso nella clandestinità per chi non dispone di questi documenti; il secondo è il fiorire di un mercato delle documentazioni fasulle quotate tra i 400 e i 600 euro, rilasciate da locatori e locatari a richiedenti asilo senza risorse, costretti a ripagare il debito con ogni genere di ‘servigi’. Ci sono senza dubbio nazionalità leader del settore, ma la compra-vendita del contratto dell’appartamento e del benestare del proprietario sono una necessità a cui tutte le comunità migranti hanno in qualche modo dovuto fornire una risposta autorganizzata. Non può nemmeno sfuggire che questo business illegittimo produce uno scarto notevole tra realtà e sua rappresentazione, perché tantissime persone secondo i data-base del Ministero dell’Interno risultano domiciliate in un luogo del tutto diverso (e piuttosto distante) da quello in cui realmente abitano, che resta invece misterioso poiché impossibile da dichiarare. Sono decine e decine i richiedenti asilo che si rivolgono a noi perché amici o parenti che li stanno temporaneamente ospitando non possono chiedere al proprietario di firmare un’autorizzazione. Altrettanti sono coloro che, dopo aver presentato domanda di protezione internazionale, per ragioni differenti si ritrovano a non avere un luogo di dimora e di conseguenza un domicilio dichiarabile, costretti a vivere in strada o in edifici abbandonati e fatiscenti poiché sprovvisti di mezzi. Ecco allora che il disturbo di firmare dichiarazioni, sottoporre le proprie generalità alla Questura, esibire rogiti e contratti di locazione ha un costo, che oscilla anche in base alle richieste ulteriori avanzate dalla Questura nel tentativo dichiarato di arginare il fenomeno e tutelare i proprietari. Quanto osserviamo da almeno due anni, denunciato già nel 2016 con un appello contro il requisito della disponibilità alloggiativa come condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno sottoscritto da decine e decine di realtà, assume oggi una dimensione ancor più vasta. L’aumento dei richiedenti asilo senza fissa dimora in seguito alla revoca prefettizia delle misure di accoglienza – segnalato anche dall’inchiesta della rivista Altra Economia (marzo 2018) – si combina alla politica di respingimento alle frontiere interne europee e ai trasferimenti verso l’Italia ai sensi del regolamento di Dublino, oggi a pieno regime. Non conosciamo i dati ufficiali, ma siamo certi di non essere i soli testimoni della precaria e incerta condizione dei richiedenti protezione internazionale senza dimora, esposti nella loro fragilità economica ed abitativa ai ricatti di chi lucra sui loro bisogni”.

Continua l’associazione sollecitando “il rispetto delle previsioni normative, da un lato garantendo alle autorità l’effettiva reperibilità dei richiedenti protezione internazionale ai fini di controlli e comunicazioni, dall’altro assicurando a ciascun individuo il diritto soggettivo e inviolabile a veder esaminata la propria istanza di protezione senza dover ricorrere a strumenti illegali. Nell’interesse pubblico e cittadino chiediamo che la Questura di Bologna accetti la domiciliazione dei richiedenti protezione internazionale presso la sede della nostra associazione, che da oltre un decennio è soggetto di tutela dei richiedenti/titolari della protezione internazionale così come delle persone a rischio di vulnerabilità. Ci sembra non solo necessario, ma anche urgente e doveroso per affrontare in maniera responsabile ed efficace un fenomeno di speculazione e sfruttamento delle difficoltà che nelle sue dimensioni crescenti alimenta la cultura dell’illegalità”.

Sullo stesso tema è intervenuta anche Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che dice: “L’amministrazione non può violare la normativa subordinando il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno alla presentazione di una dichiarazione di ospitalità o di contratto di locazione registrato, documenti non previsti dal decreto legislativo 142 del 2015”. Così come “nessuna discrezionalità può riconoscersi in capo all’Autorità amministrativa sui requisiti ulteriori necessari per ottenere la protezione umanitaria”. E inoltre sono “illegittimi anche i tempi di attesa per ottenere un appuntamento per presentare la domanda di asilo o per il rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta asilo”. La Questura bolognese, infatti, “fissa appuntamenti per la presentazione della domanda di protezione internazionale o per il rinnovo del permesso di soggiorno a distanza di diversi mesi dalla richiesta, senza rilasciare alcun attestato ai richiedenti”. Questo, oltre ad allungare “i tempi già lunghi della procedura di asilo”, mette i richiedenti “in una posizione di irregolarità sul territorio”, quindi a rischio di “espulsione, in assenza di qualsiasi attestazione che indichi la loro qualità di richiedenti asilo”.

Intanto il Coordinamento Migranti, nell’invitare alla partecipazione alla prima di una serie di assemblee nella regione Emilia-Romagna a Modena, lì nello specifico contro l’ipotesi di apertura di un nuovo centro per il rimpatrio dei migranti, ripercorre il filo degli ultimi mesi di lotte: “Il 24 marzo centinaia di migranti, donne e uomini, hanno attraversato le strade di Bologna per opporsi al razzismo che uccide. Sono venuti dai quartieri e dai centri di accoglienza di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Rimini. La manifestazione ha mostrato la rabbia di chi vive da anni in questo paese con in tasca un permesso di soggiorno per lavoro e di chi è sfuggito da guerre, violenze, stupri e povertà e ora vede la sua vita in pericolo. Ha mostrato la nostra forza: la nostra capacità di prendere parola per rompere il silenzio a cui vogliono costringerci, la nostra volontà di organizzarci contro l’isolamento in cui vogliono confinarci. In questi anni il governo democratico ha costruito sulla nostra insicurezza la promessa di sicurezza per chi, pur essendo cittadino italiano, è sempre più precario e povero. Sappiamo che chi ha vinto le ultime elezioni ha promesso più respingimenti ed espulsioni di massa. Dopo la manifestazione di Bologna, però, sappiamo anche che possiamo lottare insieme contro il razzismo istituzionale che divide italiani, migranti e richiedenti asilo, contro il ricatto dell’accoglienza che decide della nostra permanenza sulla base della provenienza e della disponibilità a lavorare gratuitamente. Non c’è più tempo per avere paura: lo hanno dimostrato le donne migranti che durante la manifestazione hanno preso parola contro il doppio razzismo che vivono quotidianamente, come donne e come migranti. Lo hanno dimostrato i molti migranti, richiedenti asilo e operai che hanno denunciato il loro comune sfruttamento. È tempo di alzare la testa per costruire una mobilitazione di migranti e italiani, donne e uomini, in grado di opporsi al razzismo. Abbiamo quindi deciso di iniziare un percorso di assemblee in diverse città dell’Emilia-Romagna per discutere come mantenere e allargare la nostra iniziativa”.

Continua il Coordinamento: “Le direttive europee, le leggi italiane e il modo in cui sono applicate da questure, prefetture e amministrazioni locali (non solo) di questa regione limitano la libertà di muoversi, costringono a lunghe attese (fino a 2 anni) per le commissioni territoriali, negano i documenti essenziali per vivere e lavorare, se non nella povertà assoluta, o impongono il ricatto del lavoro gratuito. Non solo la commissione dell’Emilia-Romagna decide con sempre maggior frequenza per la negazione del diritto d’asilo, e pure i tribunali sempre più spesso rigettano i ricorsi. I richiedenti devono anche subire una serie di procedure pretese illegittimamente dalle questure che ritardano e spesso impediscono il rilascio del permesso: alcune questure chiedono la dichiarazione di ospitalità e/o la residenza, altre convocano i proprietari di casa per certificare il domicilio dei migranti in attesa di rinnovo, in alcuni casi mandano persino la polizia a compiere ispezioni notturne nelle case. Come se non bastasse, per chi è senza fissa dimora diventa sempre più difficile ottenere la residenza perché molti Comuni pretendono illegittimamente che si passi dai servizi sociali, che spesso fanno da filtro (e senza residenza, vengono meno molti diritti sociali e civili). Questure e amministrazioni locali agiscono così al di sopra della legge impaurendo e umiliando le donne e uomini che hanno richiesto l’asilo! Questure, prefetture e comuni in questo modo preparano il terreno per la politica delle espulsioni. Con le loro scelte nella gestione dell’accoglienza producono clandestinità, la stessa clandestinità a cui sono condannati donne e uomini migranti che dopo anni in questo paese non possono rinnovare il permesso per mancanza di reddito o lavoro. Una clandestinità a cui si aggiunge la minaccia della detenzione se è vero, come è stato annunciato, che aprirà il nuovo «Centro di permanenza per il rimpatrio» di Modena. La nostra sfida è quella di rendere questo terreno impraticabile, per conquistare la libertà di costruire una vita migliore”.