Acabnews Bologna

Decreti penali, Cub: “Se ci fu denuncia, l’Ateneo la ritiri”

Oggi conferenza stampa di Hobo con il sindacato di base e due docenti contrari alla criminalizzazione che ha colpito il collettivo.

17 Giugno 2015 - 17:41

Sciopero Coopservice (repertorio Zic.it)“Rivendichiamo l’utilizzo di ogni centimetro di questo nastro dicendo che lo riutilizzeremo ogni volta che studenti e precari decideranno di alzare la testa di fronte a situazioni di sfruttamento”: non fa passi indietro Hobo, dopo i decreti penali di condanna ricevuti ieri: 15.000 euro di multa a testa per sei attivisti, accusati di interruzione di pubblico servizio e violenza privata in relazione ai picchetti in università dell’aprile scorso in sostegno alla vertenza Coopservice. Il collettivo era oggi in conferenza stampa, è tornato ad additare il Rettore quale “responsabile politico” dei decreti, ma ha lasciato che a parlare fossero soprattutto docenti e sindacalisti contrariati dal duro provvedimento della Procura.

“Trovarsi di fronte a questi decreti è surreale, lo sciopero contro Cooperservice, vista la situazione che si era creata, era un’iniziativa praticamente obbligata di fronte al silenzio assoluto dell’Università – ha detto Antonella Zago di Cub – I portoni erano chiusi perché chi li doveva aprire era in sciopero”. I decreti penali, “che colpiscono non i lavoratori ma alcuni studenti che hanno manifestato per esprimere loro solidarietà, costituiscono una minaccia futura anche per i lavoratori e chiaramente sono un attacco anche a loro. Sono accuse inconsistenti, si parla di nastro bianco e rosso. Io in quei giorni ho fatto anche di peggio, sono una delle persone che ha fasciato palazzo Paleotti, altro che nastro”.

Cub, inoltre, ha presentato un’interrogazione in Senato accademico per sapere se dietro queste condanne ci sia una denuncia formale dell’Università: “Se è così, perché sappiamo che in quei giorni i vertici dell’Ateneo trovarono il tempo di andare in Procura e non di venire a parlare con gli studenti, chiediamo a Dionigi di ritirare quelle denunce”, dice Zago. La risposta arrivera’ tra 15 giorni.

Maurizio Matteuzzi, dei docenti preoccupati, osserva: “Si è parlato di picchietti, ma io in quei giorni andavo e venivo senza problemi”. E in quanto ai portoni chiusi, secondo il professore la decisione di chiuderli fu dei dirigenti dell’ateneo. E il nastro bianco e rosso “sarebbe pericoloso al punto da meritare la galera? Forse il problema è il colore, potevano metterlo rosso e blu ora che siamo andati in serie A”.

Sottolinea invece Donata Meneghelli, docente di letturatura comparata: “Erano picchetti soft, simbolici, tra l’altro si tratta di una lotta durata alcuni mesi, per cui che senso ha punire quanto accaduto in due giornate? E in ogni caso, il picchetto è una prassi politica acquisita, criminalizzarlo fino a questo punto significa un balzo all’indietro nella democrazia, a cui stiamo assistendo sia a livello locale che nazionale. In quei giorni c’ero anch’io, anch’io ho esercitato solidarietà totale con la lotta dei lavoratori contro una paga da 2,80 euro l’ora, quello che e’ inaccettabile è che l’Università possa anche solo dire che non lo sapeva”.

E’ intervenuto anche un ostudente estraneo al collettivo: “Quello che fa accapponare la pelle non è solo il fatto di negare il diritto di sciopero, ma che siano stati puniti solo sei studenti: eravamo in tanti in quei giorni a sostenere quella protesta, in tanti presidiavamo i picchetti, studenti e docenti. Nessuno ci ha cercato, non ci e’ arrivata nessuna denuncia. Se volevano punire quella protesta, ci sarebbero dovute essere 80, forse 100 condanne, altrimenti significa che e’ un regolamento di conti, che si va a colpire con un mezzo per dare un altro tipo di lezione”.

Intanto, passando a un altro fronte del violento attacco della magistratura bolognese ai movimenti, #Libertàdidimora segnala che “Sinistra Ecologia Libertà ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui si chiede perché, in occasione dell’incontro con la Madia all’origine degli arresti domiciliari, sia stato impedito a studenti e ricercatori dell’università l’ingresso a un evento dichiarato pubblico”.