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Culture / “Fomenta”, il dna di una terra e di un popolo

Riceviamo e pubblichiamo una recensione di “Fomenta”, ultimo lavoro del musicista salentino Antonio Castrignanò, tra memoria e modernità.

28 Settembre 2014 - 14:19

“Fomenta”, il dna di una terra e di un popolo

redim2Il fluire sensuale della memoria, la forza magica delle radici, la solare energia evocata da suoni ancestrali, il logos ricco di dialettica dell’appartenenza. Racchiudono il dna di una terra ricca, di un popolo contaminato dagli “invasori” con cui, da millenni, ha saputo intrecciare rapporti intensi che hanno arricchito entrambi. “Fomenta” (cd Ponderosa, distribuzione IRD, maggio 2014), l’ultimo lavoro di Antonio Castrignanò, è anche questo. Dodici brani dolcemente sospesi al confine del tempo, fra l’anima di un passato che ritorna e chiede asilo con la potenza dialettica della sua sovrastruttura identitaria e un presente “selva oscura”, Babele indecifrabile e alienata, magma pulsante angoscia e solitudine.

Ecco allora che quei suoni-archetipo che provengono dal cuore antico dell’uomo, da un mondo sepolto ma ancora vivo, riletti in chiave moderna, diventano la password, l’aleph per decifrare il III Millennio e cercare di stare nella modernità con meno dolore e più coscienza nel tempo che ci è toccato in sorte, contaminandosi della loro potenza maieutica.

“Ballati tutti doi ballati moi / ca ci ballati nu muriti mai” diventa allora il “manifesto” metafisico e illuminista delle nuove generazioni che rifiutano la miseria del presente e osano in modo quasi blasfemo una vita diversa, alternativa: perché “sentono” che l’utopia è possibile. E utopico è anche recuperare quei suoni (la pizzica) e agganciarli al tempo del blog e della comunicazione virale.

Antonio Castrignanò è da 20 anni un ricercatore serio, fra i primi a intuire che tutto il materiale ereditato dai vecchi del Sud e dalla loro memoria non andava monumentalizzato, elevato a feticcio, a icona, svenduto ai mercanti nel tempio come perle ai porci, ma riletto, metabolizzato e rielaborato in chiave moderna. Non solo: andava sganciato, come le radici di ulivi secolari, dalla terra dove era stato trovato e centrifugato nel cosmo, a ogni angolo dell’universo, affinché platee sconfinate se ne impadronissero rafforzando la loro percezione di se stessi e del reale.

Il musicista (svezzato dai concerti della Notte della Taranta di Melpignano, santuario pagano della musica mediterranea) ha capito che doveva uscire in mare aperto, mettersi in discussione: ha coinvolto nel suo progetto il polistrumentista turco Mercan Dede (produttore di “Fomenta” insieme ad Alberto Fabris). L’elettronica oggi è un paradigma irrinunciabile per chi fa musica di ricerca, una koinè ideale per parlare e comunicare col mondo affinché la musica di tradizione divenga un linguaggio universale.

Ma anche il confronto con altre tradizioni musicali: l’energia universale in cui siamo avvolti come in una sorta di campo magnetico (la globalizzazione buona), di cui siamo imbrattati, include ogni codice musicale, espresso ai meridiani e i paralleli. Infatti “Fomenta” è impregnato degli echi di sale provenienti da Oriente (a Castrignanò più vicini per un fatto storico e geografico). Il lavoro recupera vecchi brani, ormai dei classici, rileggendoli con nuova linfa e sorprendente vigore e ne propone di nuovi, com’è nello spirito di chi ha lasciato il porto comodo delle certezze e delle cover per imprimere un segno proprio suo, personale, facilmente riconoscibile nella folta semantica che ci avvolge.

Francesco Greco