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Culture / Antonio Rezza e la matematica del delirio

A teatro 7-14-21-28: la formula per distruggere la matematica, lo spazio, i numeri, il senso logico e perdere il filo del discorso, “lo stesso che ti impicca”.

01 Febbraio 2017 - 13:58

di Simona De Nicola

La matematica non l’ho mai capita.

Seriamente, tutte quelle radici quadrate e quegli esponenti da dare alle basi per ottenere i numeri. Piani cartesiani e funzioni volte verso l’infinito. Mi girava la testa e mi veniva anche un po’ di nausea quando era il momento di mettere il mondo in numeri e formule.

Formule che potevi consultare, ma che non sapevo mai bene dove attaccare nei fogli a quadretti dei compiti in classe. Avevo una buona amica di banco, con cui facevamo a metà, ma due metà che non capiscono alla fine sono un intero che non ha capito niente.

Poi sono arrivati Wittgenstein e Frege, Russell e Einstein, Odifreddi, Lewis Carroll, Bachelard.
Tutti insieme, all’università, mentre cercavo di capire il mondo da un’altra angolazione – tra i segni e i codici dei linguaggi.

E allora ho realizzato che ero solo un po’ tonta, che mi mancava qualche bullone per comprendere tutta la meraviglia di questa disciplina che cerca di spiegare il mondo in un modo per me troppo logico.

Solo “PI greco” di Aronofsky era riuscito a convincermi che, tutto sommato, non è che se la passasse proprio bene il matematico che arrivava, infine, alla comprensione del tutto…

E poi è arrivato lui.
Tardi, ma è arrivato per fortuna.

Poi è arrivato Rezza, la mina vagante, la parola che deborda e cancella ogni riferimento.
L’anarchico, politicamente scorretto, un po’ genio un po’ matto, il performer, lo scrittore, il cineasta.
Poi è arrivato lui, col suo corpo nervoso – la gestualità surreale sempre un po’ sospesa, come proveniente da un altro sistema di comunicazione fisica – e quella voce in movimento incessante, che cadenza col suo ritmo roboante sceneggiature di mondi senza logica.

Credo che volesse parlare dell’essere umano e del fatto che la vita, a volte, è davvero una merda.

Non sono sicura, ma io ho sentito così.
E come ha fatto? Ha fatto esplodere tutto.
Si è inventato uno spettacolo dove “ lo spazio diventa numero, per chi si vuole perdere, per chi rinuncia al filo del discorso che è lo stesso che ti impicca”.

Rezza arriva, sfonda il silenzio del palcoscenico coi suoi ricci che sembrano attori inclusi nella scena, e in un attimo distrugge tutto il senso della matematica, dello spazio, dei piani cartesiani, del tempo, della misura e dell’infinito.

7-14-21-28: un ideogramma cinese come pretesto e una scenografia ridotta all’osso.
Ecco la formula di Rezza per distruggere la matematica e farla sconfinare nel delirio.

Con lui che si muove nello spazio del teatro Duse, ho finalmente capito la matematica, ridendo a crepapelle, ridendo dell’instabilità dei concetti a cui da millenni abbiamo affidato la nostra esistenza, il nostro muoverci, esserci, valutare, ricordare.
Ho anche pensato che è vero, certe volte la vita è proprio difficile.
Anzi, come direbbe lui, è una merda.

E qui vi lascio alle sue parole, che è giusto che vi spieghi bene lui come ha trovato il modo di fare a pezzi il mondo, scardinare i riferimenti e farci cadere nell’assurdo spazio-temporale.

“Salti in lato e sui contorni: perdita del significato residuo e parola alle cifre dello sterminio. Inutile pensare a chi moriva ieri quando lo sterminio è in pieno corso.
Lo spazio è come un numero, per chi si vuole perdere, per chi rinuncia al filo del discorso che è lo stesso filo che ti impicca. Il corpo si è dato alla gola che raschia ormai nell’intimo. Il fianco duole ancora per una nuova ed eterna alleanza. Qui non si racconta la storiella della buona notte, qui si porge l’altro fianco. Che non è la guancia di chi ha la faccia come il culo sotto. Il fianco non significa se non è trafitto. Con la gola secca e il corpo in avaria si emette un altro suono. Fine delle parole.
 Inizio della danza macabra.”

7-14-21-28, con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista. Habitat: Flavia Mastrella. (Mai) scritto da Antonio Rezza

P.s.: dal 30 gennaio al 5 febbraio a Kinodromo sarà possibile vedere il film-inchiesta di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, “Milano, via Padova”. Parla di razzismo e insofferenza e racconta, attraverso il paradosso, la convivenza forzata e la cultura di chi è straniero. Non è un film sociale – ci tiene Rezza a dirlo – piuttosto una riflessione (rezzamastrelliana) su come “il razzismo è l’uomo che si sopravvaluta e che trova il tempo di scorgere irrisorie diversità sommerse dall’omologazione che dilaga”.