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Condanne per l’1 maggio 2005: “Sentenza vergognosa”

Quattro attivisti del Tpo condannati a un anno e sei mesi: si verificarono tensioni in stazione prima della partenza di centinaia di persone verso la May Day di Milano. Il centro sociale: “Qui nessuno si arrende”.

24 Maggio 2012 - 18:39

Riflessioni in merito alle condanne per l’1 maggio 2005

Un anno e sei mesi. La pena inflitta a ognuno dei quattro attivisti del Tpo per gli scontri dell’1 maggio 2005 avvenuti in stazione a Bologna, quando centinaia di uomini e donne si stavano dirigendo verso la May Day di Milano. La condanna è stata decisa sulla base della deposizione di un noto funzionario di Polizia, mentre i filmati sono risultati inutili.

Questa sentenza è una vergogna.

Centinaia di precar@ erano pronti a salire sul treno, quando la solita inquietante gestione della Polizia di questa città ha deciso che non era possibile ed era più importante difendere quel “monopolio privato di Stato” chiamato Trenitalia. Prima hanno tentato di impedire l´accesso al binario e dopo hanno inseguito i manifestanti sui binari stessi. La determinazione di centinaia di persone, in quella giornata, ha cacciato la polizia e ha permesso a tutt@ di poter partire e raggiungere la partecipatissima manifestazione a Milano.

Reclamavamo diritto alla mobilità, al trasporto, al reddito, un nuovo welfare; volevamo servizi accessibili per tutt@, perchè già allora, in anticipo sulla crisi finanziaria globale, le biografie di molti si trovavano immerse nella flessibilità, nell´inoccupazione, nella disoccupazione, nella ricerca continua di un lavoro, nell´impossibilità di pagare affitti o arrivare a fine mese.

Tutto questo mentre banchieri, governi, opposizioni, possessori della rendita, istituti della finanza con le loro scelte scellerate, ma consapevoli, decidevano di arricchirsi sempre di più, sapendo di portare il paese nella crisi più grande degli ultimi cent´anni. Un paese in cui cancellazione dei diritti sul lavoro, distruzione del welfare, licenziamenti, saccheggio dei beni comuni, respingimenti e omicidi nel mediterraneo, suicidi dovuti alla crisi sono diventati la cifra che scandisce la quotidianità.

In un momento in cui i risultati elettorali europei sfiduciano chi sostiene le misure di austerity imposte dalla troika, pensiamo si possa ancora provare a costruire una via di uscita dalla crisi, con tanti e diversi: un tentativo che parli di diritti, redistribuzione, reddito, accoglienza, solidarietà, dignità.

Un’ultima riflessione: quel giorno in stazione era presente il settimo reparto. Quelli che erano a Genova, quelli dei pestaggi ai senza dimora, di Banca Italia, della cacciata di Ferrara, quelli che condividono machismo e omertà. Pensiamo sia un problema serio nella nostra città, perché non si tratta di mele marce, ma di un corpo malato. Forse è ora che qualcuno se ne occupi.

Sia chiaro, qui nessuno si arrende né si intimorisce: scenderemo in piazza e proveremo nuovamente a cambiare il paese e le nostre città perché pensiamo che il dissenso e il conflitto siano il motore per una nuova democrazia e un futuro degno. Non abbiamo mai rinunciato ai nostri propositi e di certo non lo faremo oggi, quando la posta in gioco è la nostra vita e quella di milioni di persone. Guardando in avanti a testa alta…

Centro sociale Tpo