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Casa Dolce, Usb: “Protocolli? Non ne esistono”

Il sindacato di base sull’avviso di fine indagine agli operatori indagati per la morte di un 20enne, lo scorso agosto, all’interno di una struttura psichiatrica a Casalecchio di Reno: “Per Lavoratori ed utenti condizioni vergognose”.

31 Gennaio 2013 - 18:20

Sui fatti di Casa Dolce e delle condizioni delle strutture socioriabilitative

Apprendiamo dalla stampa dell’avviso di fine indagine per omicidio colposo inviato ai tre operatori socio-sanitari indagati per la morte di Michael Passatempi nella notte del 27 agosto 2012 all’interno della struttura ‘Casa Dolce’ di Casalecchio di Reno.

Come abbiamo già fatto in occasione dell’episodio, riteniamo di dover ribadire alcune considerazioni, sempre a prescindere dalla ricostruzione tecnico-legale affidata alla magistratura, per sottolineare quali sono le condizioni di lavoro nelle strutture socio-riabilitative per disabili, e lo stato di abbandono in cui questi servizi versano a causa del progressivo disimpegno da parte di Regioni, Comuni e Asl, nonché della logica della continua “razionalizzazione” adottata dai gestori, le Cooperative Sociali.

Solidarizziamo con i lavoratori di Casa Dolce, a partire dalla conoscenza che abbiamo, come operatori sociali, della realtà lavorativa in queste strutture.

Più volte, nella narrazione di tutta la vicenda, abbiamo letto di riferimenti a “protocolli di buona prassi nella gestione delle crisi”. Ebbene, lo ribadiamo per l’ennesima volta, noi non siamo a conoscenza di nessun “protocollo ufficiale” concordato tra AUSL ed enti gestori che disciplina la gestione dell’emergenza psichiatrica.

Sia la pratica di contenzione che di somministrazione dei farmaci sono estranee al codice professionale degli Operatori Socio-Sanitari e degli Educatori. Ma molto spesso le condizioni di “compressione dei costi” all’interno delle strutture fanno si che agli operatori non sia concesso altro che il “prendere o lasciare” il lavoro con tutte le responsabilità illecite ad esso attribuito.

La continua contrazione di spesa, infatti, ha progressivamente ridotto la presenza degli infermieri, le uniche figure professionali deputate a somministrare farmaci e a gestire “iI ricorso a dei mezzi di breve contenzione fisica appropriati (che) dovrebbe essere proporzionato allo stato di agitazione dei paziente e al rischio” [Commissione Nazionale di Bioetica, 1999]. La loro presenza è “garantita” in queste strutture, nei casi migliori a poche ore al giorno.

La posizione dei lavoratori delle residenze socio-riabilitative è stretta tra la necessità di definire le proprie competenze (socio-sanitarie, educative e riabilitative) e la realtà dei fatti (senza infermieri e medici in struttura, chi “da le terapie”? Chi mette in sicurezza gli utenti in situazioni di emergenza?).

Queste sono le condizioni in cui lavorano oggi OSS ed Educatori, il processo di Accreditamento regionale dei Servizi Socio Sanitari sta ulteriormente abbassando i rapporti numerici tra operatori e utenti, togliendo momenti di socialità alternativa a questi ultimi (centri diurni, laboratori, attività ludico-ricreative) nella prospettiva di lasciargli solo un letto in residenza ed un pasto preconfezionato, creando le condizioni per istituire ex novo “piccoli manicomi” e mortificando il lavoro degli operatori, ridotti a custodi e vigilantes del disagio psichico.

Le condizioni vergognose nelle quali si trovano a lavorare gli operatori e a vivere gli utenti sono create fuori dalle strutture, nei palazzi in cui si decide che queste strutture e questi servizi debbano ridursi a mero simulacro di una parvenza di normalità.

Di tutto questo ed altro parleremo insieme al Lab57/Alchemica ed al Centro di Relazioni Umane sul tema: Residenze Sanitarie Psichiatriche – Effetti Collaterali che si terrà venerdì 8 febbraio alle ore 18 presso la Sala Benjamin di Via del Pratello 54, a Bologna.

Usb Privato/Coop Sociali