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Campus Staveco, come naufraga una grande opera

L’Ateneo rinuncia al progetto tanto declamato da Merola e dall’ex rettore Dionigi. Intanto gli studenti riscono di nuovo ad entrare in mensa e la Cub solidarizza: “Si vuole svuotare la città dal dissenso”.

16 Novembre 2016 - 19:47

caserma stavecoPer rendersi conto di quanto sia giusto battersi contro la politica delle grandi opere, basterebbe guardare a quanti progetti faraonici vengono messi in discussione (ed elaborati, con relativo dispendio di soldi anche pubblici) per poi naufragare o finire nel dimenticatoio: ora all’elenco di aggiunge anche il campus “1088” che l’Università di Bologna e il Comune avevano deciso di realizzare nell’area dell’ex caserma Staveco. E’ arrivata, infatti, la notizia dell’archiviazione definitiva dell’opera dopo un incontro tra il rettore Francesco Ubertini e il sindaco Virginio Merola, lo stesso che nel 2014 diede il via al progetto firmando con il precedente rettore Ivano Dionigi quella che i due definorono “un’intesa storica”. E invece, il campus non si farà e l’area resterà a disposizione del Comune “per essere destinata a un nuovo progetto culturale di rilevanza pubblica”, dicono da Palazzo D’Accursio. L’Alma Mater, in buona sostanza, si è resa conto che l’operazione non sarebbe stata sostenibile: si parla di una partita da ben 100 milioni di euro, che si sarebbe dovuta aggiungere ad un piano investimenti da 300 milioni per altre opere già programmate sui prossimi anni. Per coprire almeno una parte della spesa, l’Ateneo aveva immaginato di vendere (a patto di riuscirci, ovviamente…) una parte delle attuali proprietà immobiliari presenti nell’attuale zona universitaria: mossa che l’Alma Mater ha preferito evitare anche perchè, dichiara Ubertini, la presenza dell’Alma Mater in centro storico “è nel nostro Dna”. Insomma, le varie motivazioni non sembrano così distanti da quelle che negli ultimi anni hanno spinto diversi collettivi universitari a mobilitarsi contro il progetto “1088”. Avevano ragione, evidentemente. E intanto, per un mega-progetto che affonda, subito ne parte un altro e sempre incentrato sulle aree militari dismesse: una cittadella giudiziaria da realizzare nell’ex caserma Stamoto. Come andrà a finire, stavolta?

Intanto il Cua fa sapere che gli studenti in mobilitazione contro il caro-pasti sono riusciti ad entrare un’altra volta nella mensa di piazza Puntoni: “Di nuovo in mensa! Oggi alcuni studenti e studentesse contro la mensa più cara d’Italia sono tornati a varcare, come già era successo qualche sera fa, la soglia del blindatissimo fortino di Elior, dove a tutti gli effetti chi mangia non può che sentirsi recluso. Camionette di celerini tutt’intorno, poliziotti in borghese ad ogni angolo che squadrano ad uno ad una chi entra per un pasto”. Di fronte a questo “raccapricciante, squallido e grottesco scenario abbiamo deciso di tornare lì da dove siamo banditi (salvo, di nuovo, accettare lo spropositato prezzo di 5.80 euro) per comunicare le prossime iniziative di lotta. Come il topolino quando arriva il formaggio ecco che al nostro ingresso subito tutti in allerta, celere in strada e agitazione tra gli agenti. Serviva mezza questura per sorvegliare un volantinaggio, sorbole! Evidentemente i soldi a disposizione di questi signori sono veramente tanti! A maggior ragione continuiamo a chiederci e a chiedere quale assurda razionalità sia conservata nelle teste di Ergo, Elior e del Rettore che pur di non aprire un tavolo di contrattazione sociale continuano a mantenere questo dispositivo di sorveglianza in zona universitaria. Truppe di poliziotti e carabinieri stanziati da settimane con l’unica utilità di sprecare soldi, manganellare studenti… e di farsi beffare una sera qualunque! Continuando a pretendere l’apertura immediata della contrattazione e la fine di questa scellerata militarizzazione, già domani torneremo in strada con un altro flash mob. L’appuntamento è alle 12,30 davanti a Zamboni 36, la direzione? Sorpresa!”

Al fianco degli studenti si schiera la Cub, che “condanna la repressione che sta ripetutamente colpendo gli studenti che chiedono una riduzione dei prezzi della mensa. Lo diciamo in modo semplice e chiaro, senza giri di parole. In questa città i problemi di reddito, casa, diritti vengono affrontati manganellando chi lotta per risolverli. L’amministrazione comunale è passata da un iniziale imbarazzo – la Questura governa più del sindaco, ormai – a una malcelata soddisfazione. Svuotare la città da ogni forma di dissenso è un primo passo per venderla interamente alle cooperative e alle fondazioni bancarie, o consegnarla ai Farinetti di turno. Ai complimenti di Merola si accompagna il silenzio dell’Amministrazione universitaria, che sembra non voler neppure capire quale sia il motivo della protesta. Noi dipendenti conosciamo bene quel silenzio sprezzante: è l’altra faccia del sistematico NO che viene opposto alle richieste dei dipendenti, è lo stesso che accompagna i peggioramenti delle condizioni di lavoro e di reddito; è lo stesso con cui si impongono le esternalizzazioni. Invitiamo la comunità universitaria a prendere parola, ad abbandonare la scelta binaria tra conformismo e silenzio. A non nascondersi dietro il dito del ‘non condivido le forme di lotta del Cua’ o ‘le manifestazioni non sono autorizzate’. Sono pretesti, lo sappiamo tutti. Non si tratta di due euro in più o in meno sul prezzo della mensa, non si tratta più solo di questo. Stiamo andando verso un modello di città, e di Paese, in cui ogni forma di conflitto sociale, ogni manifestazione che voglia essere più efficace di una petizione on line o di un post su Facebook, viene criminalizzata e repressa con la mano pesante. Sta accadendo, ma soprattutto lo stiamo lasciando accadere. Lo stiamo lasciando accadere coi capziosi distinguo, lo stiamo lasciando accadere tirandoci indietro e tacendo per quieto vivere. Questo nostro appello, e questa nostra solidarietà agli studenti manganellati, suoni quindi anche come un allarme”.