Storia e memoria

Argentina / Mariano Ferreyra e la repressione delle lotte sociali da parte del governo Kirchner [foto]

La seconda corrispondenza inviata da Simone e Ilaria. “La morte di Ferreyra, due anni fa, segna la nascita di una nuova politica repressiva basata sull’uso di settori sindacali vicini al Governo, criminalità organizzata e ultras”.

03 Novembre 2012 - 14:34

20 Ottobre 2012. Il sole splende alto a Plaza de Mayo, le vie limitrofe sono invase da migliaia di persone che reclamano giustizia per Mariano Ferreyra, centinaia gli striscioni in suo ricordo, gli stencil con la sua faccia che appaiono lungo il tragitto della manifestazione ed intanto sale forte la rabbia che si percepisce contro sindacati ufficialisti, polizia e governo.

Lo stesso giorno di due anni prima durante un corteo organizzato da lavoratori esternalizzati che impediva il passaggio dei treni della metro rossa di Buenos Aires, Mariano Ferreyra, 23 anni, militante del Partido Obrero, formazione trozkista della sinistra argentina, è ucciso da un proiettile al petto. Il colpo viene sparato da un gruppo affiliato all’Union Ferroviaria, il principale sindacato dei ferrovieri argentini, aderenti all’ala filo-governativa della CGT ed appoggiata dalle “barras brava”, come qui vengono definiti gli ultras, che più che tifosi rappresentano una vera e propria criminalità organizzata, spesso al soldo di partiti o del potente di turno.

A quanto pare la polizia presente sul posto, avrebbe fatto passare la squadraccia in modo che potesse aggredire i manifestanti, il bilancio finale  e’ drammatico: un morto, Mariano appunto, e decine di feriti, tra cui alcuni gravissimi, come Elsa Rodriguez, una giovane militante miracolosamente uscita dal coma dopo aver ricevuto un colpo d’arma da fuoco in testa. Ma Mariano Ferreyra è solo l’ennesimo martire della repressione governativa dei Kirchner.

Secondo uno studio della Correpi, il coordinamento contro la repressione statale legato alla sinistra extraparlamentare,  i morti assassinati da parte della polizia, dal ritorno alla “democrazia” nel 1983 ad oggi, si attestano sui 3700. Il picco di casi si registra nel 2009 con 253 morti: fino a quell’anno il 2001, l’annus horribilis della crisi, aveva il triste record di 242 decessi. E non solo, ben 195 risultano i militanti desaparecidos e 68 i morti in piazza a seguito di scontri con la polizia. Sui 3700 morti degli ultimi 30 anni di democrazia più di 1800 (ossia quasi il 45% dei casi) appartengono alla gestione del potere da parte dei Kirchner inaugurata nel 2003. A dispetto di una propaganda che lo dipinge come “il governo dei diritti umani”, esso risulta quello che più ha ucciso attraverso il suo apparato repressivo: su un totale di 68 morti per scontri in piazza ben 17 se ne contano sotto il solo governo di Cristina Fernandez. I dati dello studio indicano inoltre che le vittime sono nella maggior parte de casi giovani tra i 15 ed i 25 anni di eta’, appartenenti alle classi più svantaggiate, e che buona parte dei delitti, ben il 34%, avvengono nelle centrali di polizia a seguito di torture. Come se insomma la dittatura non fosse mai finita: sempre secondo la Correpi, i poliziotti arrestati a causa del “grilletto facile” ricevono condanne minime, e solo meno del 10% degli accusati riceve pene che superano i 4 anni. Ed i numeri confermano che nell’Argentina “democratica”, una volta finito il lavoro sporco cominciato con la dittatura militare, la repressione cambia forma per adattarsi alle necessità del nuovo sistema politico: una repressione di tipo preventivo che viene applicata con maggiore sistematicità e che ha per obiettivo il controllo e la disciplina dei settori più poveri e non organizzati della popolazione.

Ma la morte di Mariano Ferreyra segna la nascita di una nuova politica della repressione attraverso una sorta di esternalizzazione che si basa sull’uso di settori sindacali vicini al governo, della criminalità organizzata e degli ultras.
Accusato di aver organizzato l’attacco verso i manifestanti e’ infatti il segretario alla Cultura ed i Trasporti della CGT, Josè Pedroza, massimo dirigente del sindacato dei lavoratori ferroviari. Durante il processo, che si sta svolgendo in questi giorni, sono stati documentati, attraverso tabulati e conversazioni telefoniche, i legami strettissimi tra sindacalisti filo-governativi, massimi vertici della polizia, rappresentanti del governo e della procura federale. Il 3 Ottobre di quest’anno, un giorno prima della sua deposizione di fronte alla corte, e’ scomparso, per poi ricomparire a distanza di poche ore, Alfonso Severo, testimone chiave dell’accusa, ex militante dell’Union Ferrocaril, che si rifiuto’ di partecipare alla repressione della protesta. Secondo quanto testimoniato dallo stesso Severo, sarebbe stato rapito, malmenato e minacciato per poi essere abbandonato in mezzo ad una strada.

Questo meccanismo repressivo ha l’enorme vantaggio di tenere lontani da eventuali critiche l’apparato statale ed al tempo stesso serve ad anestetizzare il dissenso ed allontanare l’opinione pubblica dalle lotte. Non sono pochi i casi in cui i media, governativi e non, hanno parlato di “battaglie tra settori sindacali” quando i manifestanti tentavano di auto-difendersi durante i cortei.

Sembra insomma sempre più frequente la pratica atta a generare conflitti tra i diversi settori sociali. Politica che si esplicita anche nell’appoggio economico a quelle realtà sociali, siano esse sindacali o autorganizzate, filo-governative e nella conseguente emarginalizzazione di quelle antagoniste o non ufficialiste.
Nel frattempo aumenta la propaganda sull’insicurezza, che genera richieste quanto mai repressive nei confronti degli attori del conflitto sociale e verso le classi più povere. In tutto questo la strategia del governo di Cristina appare doppia, da una parte dichiara di non voler criminalizzare le lotte ma al contempo reprime le stesse con violenza e si rifiuta di concedere commissioni parlamentari per appurare le responsabilità politiche.

Il violento sgombero delle occupazioni a Ledesma, nello stato di Jujuy, che terminarono con la morte di quattro manifestanti e con una quarantina di feriti, o la violenta repressione al Parco Indo-americano di Villa Soldati, in cui perirono tre giovani, sono solo alcuni validi esempi di una politica incapace di dare vere risposte alle esigenze di una popolazione che ancora non ha toccato con mano il cosiddetto “miracolo argentino”.

Simone Tufano (Vag61)
Ilaria Camplone (Csi)

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