Storia e memoria

Argentina / Lottare nel sociale: la visione del Movimento Popular La Dignidad [foto]

In questi mesi Simone e Ilaria vivono in Argentina. Inauguriamo oggi una serie di corrispondenze dal Paese sudamericano, con un’introduzione sul Peronismo ed un approfondimento sull’esperienza del Mpld.

25 Ottobre 2012 - 10:08

Lottare nel sociale: la visione del Movimento Popular La Dignidad

Nato da una costola del MTR, un’organizzazione piquetera attiva dalla fine degli anni ’90, il “Movimiento Popular La Dignidad” si caratterizza come un raggruppamento apartitico di chiara matrice guevarista, costituito principalmente da attivisti che nel lavoro sociale e sul territorio trovano l’essenza stessa della lotta di classe. Sul loro sito affermano: “Il modello di società che prefiguriamo è’ già vivo nelle pratiche che attualizziamo: lottiamo per il socialismo che immaginiamo e che stiamo costruendo, e che mai deve riprodurre nessun aspetto del sistema di oppressione in cui viviamo”.
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E qui la pratica non si esplica nella sola lotta di piazza ma nella presenza continua e capillare nei quartieri popolari e nelle villas miserias (come vengono definite le enormi favelas che circondano il conurbano di Buenos Aires) attraverso asili per l’infanzia, scuole popolari, centri diurni per il recupero dalle tossicodipendenze, cucine popolari, centri di salute comunitaria, radio di quartiere e televisioni del movimento. Tutte le attività si sviluppano in autogestione, concordando le decisioni in forma assembleare, non esistono forme di rappresentanza d’alcun tipo e molti dei militanti sono attivi su piu’ fronti.

In questi giorni abbiamo avuto la possibilità di visitare uno di questi spazi nel barrio popolare di Barracas dove sono attivi l’asilo comunitario, la radio e la scuola popolare.

L’asilo nasce nel 2007 come sala giochi per bambini e solo nel 2008, dopo un percorso fatto di assemblee con le famiglie per capire le loro esigenze, e dopo lunghe lotte con la municipalità per ottenere i permessi e le risorse, diviene scuola materna.

La concezione educativa è di impronta libertaria e si basa sulle teorie di Emmi Pikler che pone come principio la libera attività del bambino, il suo benessere corporale, e la relazione privilegiata con l’adulto che se ne occupa. Una delle educatrici, intervistata, ci ha detto: “Bisogna accompagnare i gesti spontanei dei bambini, non manipolarli come se fossero oggetti. Abbiamo studiato il modello degli asili di Reggio Emilia, l’approccio artistico e libertario che hanno nei confronti dei bambini. I piccoli devono essere liberi di muoversi secondo le loro necessita’, senza una sorta di premeditazione rispetto a quel che debbono fare. Allo stesso tempo la linea educativa viene concordata con la famiglia, cercando di venire incontro alle specificità di ognuno”.

L’asilo è composto da due aree ludiche, da una piccola mensa e da un accogliente luogo per il riposo dei bambini ed è aperto dalle 9 del mattino fino alle 16 assicurando ai suoi fruitori un pranzo studiato da un nutrizionista, a completo carico dello Stato. A fine settimana il cibo che rimane viene ripartito tra le famiglie dei piccoli, mentre le spese per il mantenimento dello spazio sono pagate dalla comunita’ stessa o attraverso feste; educatori e famiglie puliscono assieme e concordano per mezzo assembleare il calendario delle attivita’.

Il salario degli educatori è coperto dal Ministero dell’Istruzione, che si è ottenuto solo attraverso una serrata lotta dei movimenti nel corso degli ultimi anni. Solo lo sforzo e le battaglie politiche hanno ottenuto dalle istituzioni il riconoscimento ufficiale e la coperture economica delle iniziative autogestite dalle molte realtà popolari attive nel campo dell’educazione.

All’interno dello stesso spazio, una ex casa del popolo del partito socialista, su un mezzanino, troviamo Radio Caterva, radio autogestita e voce nel movimento, che trasmette in streaming e via etere. A programmi sull’attualità politica nazionale ed internazionale si aggiungono quelli sulle questioni più vicine alla comunità del quartiere. Non abbiamo avuto modo di veder come si svolgono invece le lezioni del bachillerato popular, scuola popolare, le cui lezioni iniziano solo in serata,  essendo molto spesso rivolte a lavoratori. Il movimento dei bachilleratos populares è tuttavia molto ampio e variegato, rappresentando una delle esperienze più significative dei movimenti argentini sorti dopo il 2001, e non si riduce certo all’iniziativa del Movimento La Dignidad. Merita quindi uno spazio di narrazione dedicato, che verrà più avanti.

A pochi passi si trova il centro diurno Puentes, una cooperativa legata al MPLD che si occupa delle problematiche derivate dalla tossicodipendenza da paco, droga estremamente economica, scarto della raffinazione della coca. A quanto ci dicono gli operatori, la prima sede era ubicata all’interno della villa adiacente, da cui si è spostata a causa dei non pochi problemi avuti con i narcos, responsabili più volte di devastazioni e ruberie all’interno dello stesso.

Il centro funziona solo di giorno e offre un luogo dove gli ospiti possono trovare ristoro, bagni, vestiti puliti, cibo, oltre che intrattenersi partecipando a corsi di arti plastiche, cucina, costruzione, letteratura, canto e coltivazione di ortaggi nel vicino orto comunitario. Per alcune ore a settimana sono previste sedute di terapia individuale con psicologi. Gli ospiti possono entrare nel centro durante il giorno, liberamente senza che esista necessariamente una proposta diretta nè tantomeno invasiva. Il carettere libertario emerge più volte parlando con gli operatori, i quali sottolineano spesso il tema della libera scelta. Agli ospiti è richiesto esclusivamente di rimanere le ore di permanenza dichiarate all’ingresso, come rispetto per l’impegno preso. Ovviamente nel centro è vietato il consumo di sostanze. La questione del consumo non viene vista come un problema individuale nè in un’ottica di colpa (victim blaming, come dicono gli inglesi), ma come un problema legato all’organizzazione sociale (e alla povertà). Come tale è la comunità stessa che deve trovare il modo di farsene carico e risolverlo.

Il Puentes si autogestisce attraverso una assemblea composta da operatori e fruitori. Gli operatori di questo centro sono per lo più persone della villa, militanti del movimento, che si mescolano senza distinzione ai fruitori, tanto che facciamo (felicemente) difficoltà a distinguere chi è chi.

Il MPLD si configura insomma come un movimento pragmatico che, basandosi sull’azione, teorizza modelli di resistenza e lotta sociale e di genere dal forte spirito anticolonialista, antimperialista e naturalmente anticapitalista, predicando un socialismo rivoluzionario dalla matrice ecologista e con una attenzione rivolta verso le esperienze dei popoli originari dell’America latina. La cosa che piu’ sorprende è la quantità di donne e bambini presenti in tutte le manifestazioni, che donano l’idea profonda di cosa voglia dire la forza di una comunità, di cosa sia la lotta contro la rassegnazione e per la dignità.

Simone Tufano (Vag61)
Ilaria Camplone (Csi)

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Argentina: appunti di viaggio in uno stato post-rappresentativo

“La giustizia non fa parte di un sistema di potere.” Il giustizialismo sì.

Raccontare l’Argentina non e’ semplice, e sicuramente un breve articolo non potra’ sciogliere i tanti nodi gordiani che mi sembrano intrecciare in contraddizioni quasi indissolubili i rapporti tra stato, capitalismo agro-esportatore, forze sociali e geo-politica internazionale.

Ha probabilmente ragione Miguel Melino quando afferma che “il Kirchnerismo dev’essere interpretato come una delle tante articolazioni dell’impero e della sua divisione del lavoro (…) benche’ rappresenti (con tutte le sue contraddizioni e ambivalenze) qualcosa di radicalmente diverso rispetto alle formazioni politiche di potere precedenti”; nonostante cio’ la matrice peronista e’ fortemente visibile tanto nella propaganda ufficialista quanto in quella dei sindacati e dei movimenti sociali legati all’apparato di potere presidenziale.

Per questo per raccontare l’Argentina e’ fondamentale analizzare cos’e’ stato il Peronismo, e farlo cercando di uscire dalle visioni fin troppo dogmatiche ed idiologizzate che abbiamo in Europa: in primo luogo non si tratto’ di una nuova forma di fascismo, anche se indubbie sono le simpatie e le contiguita’ dell’apparato di potere argentino nei confronti dei regimi totalitari europei, ne’ tanto meno si tratto’ di una socialdemocrazia o di una sorta di comunismo nazionalista, benche’ sembri che una visione pseudo marxista sia stata presente. L’obiettivo di Peron sembro’ piuttosto l’edificazione di un proto-socialismo che avesse forti connotati patriottici, un socialismo che fosse inviso sia al grande capitale statunitense, sia al moloch marxista di stampo sovietico.

Ha forse allora ragione chi vede nel Peronismo un esperimento terzo posizionista, impressione che trova conferma nella visione corporativista dello Stato argentino che fonda le sue modifiche costituzionali del ’49 sulla teoria economica elaborata dal regime fascista nel cosiddetto “Manifesto di Verona”.

D’altra parte il giovane caporal maggior Peron, alla fine degli anni Trenta, visse in Italia come osservatore militare e completo’ i suoi studi presso l’universita’ di Bologna in Scienze Politiche ed Economia Corporativa, vedendo con non poca simpatia la politica e l’ideologia fascista. A riprova dello strettissimo rapporto tra l’Italia fascista e l’Argentina peronista e’ interessante notare la figura di Giuseppe Spinelli, ex ministro del lavoro durante la Repubblica di Salo’ salito agli onori della cronaca per aver promulgato la legge sulla socializzazione dei mezzi di produzione nel 1943. A seguito del 25 Aprile questi si rifugio’ in Argentina arrivando a lavorare prima come funzionario responsabile nel dipartimento di migrazione ed infine come consigliere personale di Peron in materia di corporativismo e socializzazione.

L’idea di base del corporativismo e’ che la societa’ e l’economia di un paese debbano essere organizzati e divisi secondo gruppi di massimo interesse in cui i rappresentati delle diverse istanze devono trovare una soluzione condivisa attraverso una trattativa: appare quindi netta una visione concertativa dello stato e dei suoi attori, ed un’idea di fondo secondo cui le regole del libero mercato devono lasciano lo spazio ad impianti economici corporativi che seguano la logica della contrattazione collettiva.

Inutile dire che si tratta di un’ottica che non rinnega il capitalismo ed il suo fervore produttivistico ma che al tempo stesso sa molto di “contro – rivoluzione preventiva”. Investigando sul quadro storico e sulle tensioni del periodo capiamo quanto utile possa essere stato per una industria esportatrice in piena fase di sviluppo come quella argentina della seconda guerra mondiale l’avvento del peronismo e del suo spirito di “pacificazione” nazionale: cos¡’ si metteva fine ai continui moti di ribellione, agli scioperi ed alle richieste di una classe lavoratrice fortemente improntata verso ideali socialisti ed anarchici.

Nell’ottica della governabilita’ del paese era molto piu’ semplice accordare per legge, e magari attraverso la figura carismatica di un “caudillo” come quella di Peron, una serie di diritti che anni di lotte sociali non erano riusciti ad ottenere, come la giornata lavorativa di otto ore, il diritto allo sciopero, un sistema pensionistico, l’istruzione gratuita, le assicurazioni obbligatorie per gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali, le ferie retribuite e per contraltare un solo sindacato formalmente riconosciuto.

Lo stato nato dalla costituzione del 1949 aveva il chiaro intento di industrializzare il paese vedendo nell’accordo tra i tre settori detentori di poteri , quello militare, quello piccolo e medio industriale, attraverso la sua associazione di categoria (la CGE) e quello sociale, riconosciuto nel sindacato ufficiale ed ufficialista (la CGT), l’unico modello di sviluppo accettabile.

Cardine della visione peronista e’ il riconoscere un solo sindacato, plasmato secondo i dettami governativi in un’ottica corporativista per poi demandare ad esso, attraverso cospicui finanziamenti il controllo del welfare state, con le cosiddette obras sociales (mutue).

Le risorse per incrementare tutte queste attivita’ furono trovate attraverso la nazionalizzazione delle infrastrutture e delle risorse naturali, oltre che con l’approvazione di leggi monopolistiche sul mercato delle esportazioni: la creazione di grandi societa’ statali come la IAPI ne sono un valido esempio (ricordo che da sempre l’Argentina si configura in un quadro macropolitico come paese esportatore di materie prime ed alimenti).

A distanza di anni, durante il suo esilio Peron ebbe modo di commentare: “Il giustizialismo e’ una forma di socialismo, di socialismo nazionale, che risponde alle necessita’ e alle condizioni di vita dell’Argentina. E’ naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di cio’ si manifestino le rivendicazioni sociali, esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e differente dall’antico liberalismo democratico che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell’imperialismo yankee”. Al di la’ della retorica anti-coloniale mi sembra di notare come sotto questa vaga idea di socialismo nazionale si ponga la stessa Cristina Fernandez de Kirchner ed il movimento neo peronista, il che e’ facilmente visibile nella fortissima propaganda presente da queste parti (oltre che nel modello gestionale del potere).

Simone Tufano (Vag61)
Ilaria Camplone (Csi)