Opinioni

Appunti sulla Grecia (e l’Europa)

Raccogliamo e ripubblichiamo alcuni contributi proposti in questi giorni da Commonware, Effimera, Euronomade e Infoaut.

01 Luglio 2015 - 09:07

Rompere il tabù, rompere con il mostro: e poi si vedrà

di Gigi Roggero (da Commonware; 28 giugno)

troika zicProviamo a partire ancora una volta dalla realtà. All’interno del negoziato fino a qualche giorno fa in corso, i rapporti di forza tra la Grecia e la Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale) sono nettamente sfavorevoli alla prima. Diciamolo ancora meglio: all’interno di quel campo di gioco, non c’è partita. Pensare che sia una semplice questione di intelligenza, di furbizia o di abilità diplomatica, significa non avere chiari o ignorare appositamente i termini reali della situazione: non è una trattativa, ma un rapimento. C’è chi ha in mano una pistola e chi ha una pistola puntata alla tempia. Chi prendeva tempo nel 1918 lo faceva per mettere fine alla guerra mondiale, per difendere una rivoluzione e costruire l’armata rossa. In queste condizioni, prendere tempo significa rimandare di qualche istante la fine di una vita sempre meno degna di questo nome. Il tempo, cioè, lo si può prendere solo se lo si conquista; se è in mano dei nostri nemici, non facciamo altro che continuare a perderlo. Qui infatti la guerra dell’austerity continua, la rivoluzione non c’è e dell’armata rossa neanche a parlarne.

Ostinarsi a prefigurare una possibilità per la Grecia di vincere la partita su questo terreno, come è stato fatto fino all’altro ieri, significa imputare a Syriza la responsabilità della sicura sconfitta: in questo gli europeisti di sinistra, pur partendo da intenti opposti, convergono con gli europeisti della Troika. Gli uni perché non considerano i rapporti di forza, gli altri perché li hanno fin troppo chiari. Noi invece pensiamo che, all’interno di questo rettangolo di gioco, non vi sia alcuna possibilità e dunque nessuna responsabilità della sconfitta da parte di Syriza. Ciò non significa che Syriza stia facendo bene o male: significa che ciò che fa è ininfluente rispetto al risultato della partita, perché la partita è truccata.

Dunque, non c’è niente da fare? Al contrario. Il debitore ha un’unica minaccia seria da far valere contro il creditore: non ti ripago il debito. Questa minaccia è però decisiva, questa sì in grado di rovesciare i rapporti di forza. Agire seriamente questa minaccia vuol dire porre la questione della rottura con l’Europa reale, cioè l’Unione Europea della finanza e dell’austerity. Se su un campo non c’è partita, bisogna costringere il nemico a inseguirci su un altro campo, che scegliamo noi. Hirschman parlava dell’opzione exit, non come abbandono della lotta ma, al contrario, come pratica che combinata con la voice può trasformare il contesto. Altri lo chiamavano “diritto di fuga”. La questione è la capacità di determinare il campo di battaglia e una nuova temporalità, senza accettare quelli che il nemico tenta di imporre. Quando parlavamo di diritto all’insolvenza, non intendevamo forse questo?

Sarebbe una catastrofe!, urlano i sinistri europeisti. Ma avete idea di cosa da tempo sta capitando in Grecia? Disoccupazione e impoverimento di massa, scuole e ospedali chiudono, l’Organizzazione mondiale della sanità denuncia il crescente numero di persone che si fa inoculare il virus dell’Hiv per accedere ai sussidi sanitari. Cara Europa e cari europeisti, la catastrofe è già avvenuta. (continua)

* * * * * * * * * *

Grecia: e ora? 

di Andrea Fumagalli (da Effimera; 29 giugno)

La trattativa tra il governo greco e i creditori (Brussel Group, ma sempre Troika) si è conclusa con un nulla di fatto. La Grecia (novello Davide) non ha la possibilità di spuntarla con la plutocrazia europea (il vecchio Golia). Ma la partita non si chiude ora, non finisce qui…

La possibilità che la Grecia e i creditori possano trovare un accordo è oramai del tutto tramontata.
All’inizio di questa settimana di travaglio e di passione, l’offerta del governo Tsipras di venire incontro ad alcune richieste della Troika (aumento parziale Iva e dell’età pensionabile, seppur in tempi lunghi) per recuperare i 400 milioni di differenza tra le parti (pari allo 0,002 del Pil Europeo!) aveva fatto credere che fosse possibile giungere a una soluzione.

Invece il risultato è stato esattamente l’opposto.

L’irrigidimento dei creditori

Abbiamo infatti assistito a un irrigidimento delle posizioni dei creditori. Il primo, tra loro, è stato il Fmi, poi, il 26 giugno, è stato il turno dell’Eurogruppo. Perché tale irrigidimento, quando si era quasi vicino al traguardo di un accordo economico utile a tutti?

La risposta è molto semplice. La trattativa in corso da quanto Syriza ha vinto le elezioni in Grecia non è mai stata una trattativa economica, finalizzata a un accordo che consentisse alla stessa Grecia di rimanere, ufficialmente, all’interno dell’Eurozona e ai creditori di avere la garanzia che gli interessi su un debito – che erano i primi a sapere inesigibile – venissero pagati nei tempi prestabiliti. È stata invece una trattativa squisitamente politica.

In un certo senso, possiamo paragonarla alla trattativa di Versailles all’indomani della Prima guerra mondiale, formalmente avviata per quantificare le riparazioni di guerra da parte della Germania sconfitta, ma di fatto finalizzata a ridisegnare la geopolitica europea in nome della supremazia inglese e francese. Sappiamo bene come l’ottusità dei vincitori di allora, imponendo condizioni capestro alla Germania, abbia innescato i processi storici che avrebbero portato all’ascesa di Hitler e quindi alla Seconda guerra mondiale. Keynes lo aveva ben compreso.

Così come allora, oggi non occorre essere degli indovini per immaginare come l’ottusità dei creditori (Fmi e Eurogruppo, in primis, con l’avvallo della Bce) rischia di trasformarsi in un boomerang assai pericoloso, pur di ribadire la supremazia della plutocrazia europea in nome del dogma del libero mercato e dello sfruttamento capitalista. (continua)

* * * * * * * * * *

La mossa del cavallo. Trasformare il #Greferendum in rottura democratica e costituente per l’Europa.

Editoriale (da Euronomade; 30 giugno)

La settimana che oggi si apre sarà decisiva, non solo per definire i rapporti tra la Grecia e l’Unione Europea, a partire dalla sua permanenza e a quali condizioni nello spazio monetario dell’Eurozona, ma anche e soprattutto per decidere il destino dello spazio politico europeo da qui in avanti.

Nella notte tra venerdì 26 e sabato 27 giugno è infatti svanita l’illusione – coltivata da quelle che oggi vengono eufemisticamente definite come le “Istituzioni Europee”, più prosaicamente “i creditori”, più precisamente ancora la Troika composta da Commissione, Banca Centrale e Fondo Monetario Internazionale – di poter ridurre a “miti consigli” l’attuale governo greco, costringendolo ad accettare il pacchetto di misure da essi proposto – il “generoso” programma che Wolfgang Münchau ha definito sul Financial Times “una versione economica dell’inferno dantesco”.

E mai come ora è indispensabile riuscire a squarciare il velo d’ignoranza con cui i media mainstream coprono la “crisi greca”: la chiamata alle armi della propaganda nutre con odioso razzismo culturale e antropologico, a volte sottile, più spesso grezzamente volgare, la menzogna per cui la materia del contendere starebbe in “impegni da rispettare”, “debiti da onorare”, “pari trattamento” rispetto agli altri popoli d’Europa che andrebbe infine imposto ai riottosi (e, a seconda delle versioni, “pigri” e/o “infidi”) greci.

Il gioco delle cifre, snocciolate ad uso e consumo della propaganda stessa e peraltro puntualmente ricostruite nella loro realtà dall’ultimo prezioso Rapporto della Commissione per la verità sul debito greco, serve a nascondere la natura prettamente e integralmente politica dello scontro in atto. Del resto, al di fuori delle tecnocrazie di Bruxelles e dei governi europei, non vi è alcun dubbio né sulla necessità di una radicale ristrutturazione del debito greco né sul fallimento dell’austerity negli ultimi cinque anni. (continua)

* * * * * * * * * *

Il tempo del rifiuto

Editoriale (da InfoAut; 30 giugno)

Fin dall’inizio del dibattito nostrano sulla situazione greca abbiamo criticato un doppio atteggiamento ideologico: da un lato quello di chi vedeva acriticamente in Syriza il “buongiorno”, sperando di poter esportare in Italia la ricetta elettorale di successo; dall’altro quello di chi, altrettanto acriticamente, si rinchiudeva su posizioni settarie, accusando il partito di Tsipras di aver prosciugato le lotte e sperando in un suo fallimento. Contro i primi, pensiamo che non sia sul piano elettorale che si gioca la partita della trasformazione. A differenza dei secondi, pensiamo che le contraddizioni che si aprono anche sul piano istituzionale possono essere (talvolta) utilizzate dai movimenti. Tanto più se quelle contraddizioni hanno la loro origine e spinta costrittiva proprio nelle lotte, che in Grecia sono cominciate con le mobilitazioni universitarie nel 2006-2007 contro il Bologna Process, esplose l’anno successivo nella rivolta di massa seguita all’assassinio di Alexis Grigoropoulos, continuate nella battaglia senza tregua contro le politiche di austerity e il Memorandum e nelle tante esperienze di autorganizzazione sociale della vita di interi quartieri. Il governo d Syriza, piaccia o non piaccia ai suoi dirigenti, nasce anche dal fumo delle barricate, ed è questo l’unico debito che deve rispettare se vuole avere qualche possibilità di successo.

Ora, dopo la rottura della trattativa con la Troika e l’indizione del referendum sui termini del cosiddetto “accordo” (leggi diktat), alcuni risultati ed elementi di riflessione sono già evidenti, comunque vada a finire. Il primo è che c’è un sicuro sconfitto: è l’europeismo di sinistra, di chi diceva “una cattiva Unione Europea è meglio di nessuna Unione Europea”, di chi si è fatto intrappolare e ha riprodotto a mo’ di scomunica l’alternativa tra UE e ritorno allo Stato-nazione. Una parte dei movimenti è stata influenzata da questo ordine del discorso, l’esperienza di Blockupy per esempio ne è interna. Oggi la signora Merkel, dalle redini del comando, strepita: “se fallisce l’euro fallisce l’Unione Europea”. Cosa hanno da dire in proposito gli europeisti di sinistra? La verità è che si può cavillare finché si vuole sulla differenza tra Europa e Unione Europea, e tra queste e l’austerity. Per chi guarda a una simile questione filosofica senza i soldi per arrivare alla fine del mese, la realtà è però molto più semplice: oggi Europa significa Unione Europea, e Unione Europea significa austerity. Dunque, non si può lottare contro l’austerity se non si lotta contro questa Europa. (continua)