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Alma Mater, dalla discussione sullo Statuto “un assordante campanello d’allarme”

Noi Restiamo: “Oggi la zona universitaria è diventata solo un limbo tra casa e lezione, svuotato di alcuna reale possibilità di partecipazione che non sia quella organizzata dal basso”.

03 Ottobre 2016 - 15:31

rettorato università ateneo“Quasi 90.000 studenti. Diverse migliaia di professori e di membri del personale Tecnico Amministrativo. Sono solo alcuni dei numeri di questo Ateneo. Eppure oggi (nei giorni scorsi, ndr), in quella che qualcuno ha promosso come una grande giornata di democrazia e confronto in cui stabilire il comune assetto organizzativo dell’Alma Mater, in questa sala siedono neanche 200 persone”. Inizia così l’intervento che gli attivisti della campagna Noi Restiamo hanno effettuato durante l’assemblea di Ateneo convocata per discutere della revisione in corso dello Statuto: “Una così scarsa attenzione della comunità universitaria, ancor prima di addentrasi nel merito delle disposizioni qui oggi discusse, avrebbe dovuto essere un assordante campanello d’allarme se si fosse stati genuinamente intenzionati a promuovere ‘democrazia e partecipazione’. A noi sembra infatti che la dica lunga su alcuni elementi: quanto debole e forse pretestuoso sia quell’intento; quanto poco incisivi e decisivi siano i passaggi qui affrontati nella concretezza della vita dei membri della comunità; quanto essa invece sia stata già fortemente condizionata da decisioni e fonti normative di ordine superiore, ultima in ordine di tempo quella Legge 240/2010, la cosidetta Riforma Gelmini, contro i cui profili di incostituzionalità (sui quali molto si è detto) invece sì si levarono alte le voci della popolazione universitaria di tutta Italia; quanto svuotati di rappresentatività siano oggi gli organi accademici. Ma se lo Statuto oggi vigente in questo Ateneo è figlio di quell’ultima funesta Riforma, la bozza di revisione che abbiamo potuto leggere non ci porta un metro più in là. D’altronde la decostituzionalizzazione dell’ordinamento sociale di questo Paese è passata negli ultimi vent’anni tramite l’aggressione a tutto l’articolato dei presidi di diritti e democrazia, e tra essi anche all’idea di Università pubblica, aperta, critica, che si faccia promotrice dello sviluppo sociale.”

Ancora dall’intervento di Noi Restiamo: “In questi tempi in cui l’affondo finale ai diritti della maggioranza è consentito mettendo definitivamente mano alla Costituzione, non ci aspettavamo, in effetti, di vedere un fermento democratico in occasione della revisione dello Statuto d’Ateneo (infondo la Costituzione della comunità universitaria) in una città come Bologna, una delle prime d’Italia in cui nel mondo accademico sono state raccolte tantissime firme a sostegno dell’attuale controriforma della Carta del ’48 e in soccorso al presupposto principio di governabilità, ovvero, della spartizione di potere tra pochi cerchi magici in base alle disposizioni indicate dall’alto secondo la volonta’ dei mercati e dell’Unione Europea. Se sul piano nazionale la revisione della Carta non ha assunto certamente i tratti di un momento costituente, tanto meno questo è accaduto nel ristretto spazio delle mura bolognesi entro cui si muove tanta parte di ciò che è chiamato in causa da questa Revisione dello Statuto. D’altronde il processo di smantellamento dell’Università italiana prosegue a tappe forzate e non confidavamo certamente nell’intenzione di metterlo in discussione con un atto amministrativo qui proprio all’Unibo, dove assistiamo esclusivamente al tentativo di sganciarsi dal carrozzone nazionale che sta cadendo nel baratro, nell’ottica di competere con il meglio della Formazione Superiore europea secondo i canoni promossi proprio a partire da quel Processo di Bologna che in questa città vide la luce. Formare cervelli semilavorati per poi spedirli all’estero, mancando le condizioni di permanenza nel sistema paese. L’applicazione di questi canoni ci parla di qualcosa da cui abbiamo cercato di togliere il velo già nei mesi scorsi, in occasione dell’avvio della martellante promozione di quella parata ideologica che si preannunciano essere le Giornate dell’Identità. Ci parla ovvero:  del premio di presunte eccellenze (sui criteri di valutazione e selezione sorvoliamo…); della precarizzazione di un enorme imbuto di professori e ricercatori; dell’esclusione degli studenti provenienti dalle fasce sociali più deboli; dell’organizzazione secondo logiche sempre più privatistiche e non rispondenti alla funzione pubblica dell’Università; dell’apertura agli interessi di banche e multinazionali; di professori chiamati a coscrizione dal pensiero unico; di intervento armato delle Forze dell’Ordine di fronte a quelle che non hanno bisogno di essere svilite come fisiologiche occasioni di dissenso, ma che sono piuttosto il legittimo tentativo di porre un freno alla mattanza in corso. Fintanto che questo progetto non sarà compiuto, prima quindi di poter ammirare la definitiva realizzazione di un disegno di università teatro della competizione tra studenti alienati e via Zamboni e le sue piazze vetrina per turisti dal portafoglio pieno, certamente non si potranno vedere gli studenti e il personale accademico partecipe e propositivo in una zona universitaria che è diventata solo un limbo tra casa e lezione, svuotato di alcuna reale possibilità di partecipazione che non sia quella organizzata dal basso per provare a rispondere da sé ai propri bisogni materiali, alle proprie aspettative personali e all’aspirazione di essere protagonisti della propria vita collettiva”.