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Adama, il legale ha richiesto il permesso umanitario

E’ ancora in via Mattei la donna senegalese reclusa al Cie dopo aver denunciato uno stupro. Migranda: “Raccolte già 800 firme”. Adama da via Mattei: “Grazie, non pensavo nemmeno che fosse possibile”.

28 Novembre 2011 - 18:44

“Stiamo pensando a un percorso di protezione che porti Adama in un luogo sicuro e segreto: ora la priorità è la sua librazione”. Lo afferma Paola Rudan del collettivo Migranda, che insieme all’associazione Trama di Terre ha lanciato nei giorni scorsi un appello per la liberazione della donna senegalese rinchiusa nel Cie di via Mattei dopo averdenunciato uno stupro. Appello che ha già raggiunto 600 firme, con adesioni in arrivo da “istituzioni, associazioni, collettivi e anche di singo li cittadini”.

In Italia senza permesso, la donna ha raccontato di essere stata sottoposta a violenze e sopraffazioni dall’uomo presso cui aveva trovato casa e con il quale aveva avuto una relazione. Ma l’uomo si era presto rivelato un aguzzino trattenendole una parte dello stipendio e picchiadola. Il 26 agosto Adama denuncia l’uomo per violenza sessuale e lesioni ai Carabinieri, che tuttavia decidono di condurla al Cie di via Mattei. Solo il 26 ottobre riesce a ottenere una visita medica

Adama è difesa dall’avvocato Andrea Ronchi, che ha depositato oggi una richiesta di permesso di soggiorno straordinario per motivi umanitari, e ha fatto intendere di aspettarsi una risposta in tempi rapidissimi.

> Il comunicato diffuso in serata:

Adama verso la libertà?

In soli tre giorni 800 donne, uomini e associazioni hanno risposto al nostro appello per la liberazione di Adama. Anche grazie alla coincidenza con la giornata mondiale contro la violenza sulla donne, lo scandalo costante della detenzione amministrativa di una donna migrante è esploso improvvisamente sulle prime pagine dei giornali e nei servizi televisivi.

La storia di Adama e delle molte violenze da lei subite, il sostegno che ha ricevuto sono stati tali da produrre l´interesse di quelle istituzioni che nei mesi precedenti avevano colpevolmente ignorato la sua situazione. Colpisce che ci sia ancora chi vede qualcosa di poco chiaro nella storia di Adama. Viene così confermata la consueta pratica di addossare alle donne l´onere di dimostrare di aver subito violenza sia essa privata o istituzionale. Ciò nonostante, grazie al suo coraggio e alla mobilitazione collettiva oggi possiamo realmente sperare che Adama ritrovi una libertà che le consenta di riprendere in mano la propria vita, lontano da ogni violenza.

Nulla però è ancora deciso. Per questo è importante che le adesioni all´appello per la sua liberazione continuino ad arrivare numerose. Non si tratta soltanto di un supporto per lei e per la sua effettiva liberazione. Si tratta anche di riconoscere che la storia di Adama è la storia di molte altre, per le quali la violenza è l´altro nome della loro condizione di donne. La storia di Adama, donna e migrante, non è una storia eccezionale, ma la norma imposta a troppe donne migranti che, a causa della legge Bossi-Fini e dei Centri di identificazione e di espulsione, si trovano impossibilitate a denunciare qualsiasi violenza.

Nel pubblicare l´ultimo aggiornamento delle adesioni all´appello per Adama, vogliamo condividere anche la sua sorpresa per la solidarietà ricevuta, una nota di speranza che ha colorato la sua voce per la prima volta in tre mesi. Ci ha detto Adama: “Grazie, non pensavo nemmeno che fosse possibile”.

Migranda