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Acta: l’Europa dice di no e forse la rete è salva

Vittoria dei deputati contrari al trattato internazionale anti-contraffazione. Ma i giochi non sono ancora fatti.

05 Luglio 2012 - 17:02

(da Globalist)

Il trattato anti-contraffazione non si farà. Il Parlamento europeo ha rigettato l’ Acta e sottoscritto il parere negativo espresso una quindicina di giorni fa dalla Commissione per il commercio internazionale. Hanno vinto i no con 478 voti contro- 39 a favore e le 165 astensioni. Il Vecchio Continente si chiama quindi fuori dall’accordo negoziato con Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Corea, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Svizzera. Recente anche il passo indietro elvetico.

E’ stata la prima volta che il Parlamento ha esercitato le sue nuove competenze in materia di trattati commerciali internazionali. ”Sono molto felice che il Parlamento abbia deciso di seguire la mia raccomandazione di respingere ACTA”, ha affermato il relatore David Martin (gruppo S&D) dopo il voto.

Tuttavia, ha aggiunto il relatore, l’UE deve trovare vie alternative per proteggere la proprietà intellettuale.
”Sosterrò sempre le libertà civili rispetto alla protezione del diritto di proprietà intellettuale”, ha aggiunto.

Durante la discussione su ACTA, il Parlamento e’ stato oggetto di una pressione diretta e senza precedenti da parte di migliaia di cittadini europei che hanno chiesto la bocciatura le testo, con manifestazioni per strada, e-mail ai deputati e telefonate ai loro uffici. Il Parlamento ha anche ricevuto una petizione firmata da 2,8 milioni di cittadini di tutto il mondo che chiedeva la stessa cosa.

L’accordo ACTA, che è stato negoziato tra Ue, Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Svizzera, è stato concepito per rafforzare l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale.

La battaglia combattuta strenuamente dalle associazioni per la tutela della libertà in Rete e, fino a ora, vinta su tutta la linea fra i confini comunitari, non si esaurisce con il voto odierno: il commissario al Commercio Karel De Gucht si è premurato ieri di assicurare che anche in caso di sentenza negativa “la Commissione continuerà a perseguire l’attuale procedura dinnanzi alla Corte”, che dovrà esprimersi sull’attinenza del trattato alle regole comunitarie e che potrebbe aprire la porta a eventuali e successivi rimaneggiamenti del controverso testo. Iter ipotetico che si concluderebbe nuovamente nelle aule del Parlamento. La posizione di De Gucht emerge chiaramente da una sua dichiarazione di inizio marzo: “Acta non è un attacco alla libertà, è una difesa ai mezzi di sussistenza. Non siamo nel 1984, siamo nel 2012. Acta non è il Grande fratello, è una soluzione ai problemi economici del 2012 e oltre. Creatività, innovazione e diritti di proprietà intellettuale sono i mezzi con cui stimolare la crescita e l’occupazione”.

Nella petizione di Avaaz sottoscritta da quasi tre milioni di persone, il trattato viene descritto invece come un tentativo di distruggere la Rete libera e aperta. La motivazione è da ricercarsi nella parte del testo che punta il dito contro gli Internet Service Provider e mette sulle loro spalle la responsabilità della circolazione di contenuti illeciti a fini commerciali. La spada di Damocle delle pesanti sanzioni avrebbe imposto a piattaforme come Google o Facebook il controllo preventivo del materiale veicolato. Di conseguenza, il rimbalzare di contenuti a cui siamo abituati sarebbe stato messo seriamente in discussione. A far storcere il naso è stato anche il percorso che ha portato alla stesura del testo definitivo: Acta rimbalza in gran segreto da una scrivania all’altra dal 2007 e solo tre anni dopo il Parlamento europeo ha imposto la dovuta trasparenza al processo.