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«L’acqua non si vende», una grande giornata di lotta

Ieri corteo regionale, in cui sono confluiti studentesse e studenti in lotta. Il comunicato del Comitato Acqua Bene Comune e quello del Comitato Palestina, che ricorda come l’acqua sia fondamentale nella strategia di occupazione israeliana.

05 Dicembre 2010 - 14:47

4 DICEMBRE: UNA GRANDE GIORNATA DI LOTTA.

Anche Bologna sabato 4 dicembre ha visto scendere in piazza, in occasione della giornata nazionale di mobilitazione, il “popolo dell’acqua” per reclamare l’immediato blocco della Legge Ronchi (che privatizza l’acqua) fino all’effettuazione dei referendum, la sicurezza che i referendum si tengano nel 2011 anche in caso di caduta del Governo e a fianco dei movimenti sociali e ambientali che a Cancun in questi giorni stanno con forza ponendo ai governi la richiesta della difesa del Bene Comune più importante: la Madre Terra.

In migliaia abbiamo attraversato le strade della città ed in migliaia abbiamo costruito una giornata di lotta che ha coinvolto tutti i movimenti ed i soggetti che si stanno battendo in difesa di tutti i Beni Comuni, dal diritto all’abitare al movimento contro la Gelmini.

Come deciso nell’assemblea comune svoltasi venerdì pomeriggio nell’università occupata, gli studenti e le studentesse in lotta, dopo aver sviluppato le loro iniziative in difesa del bene comune della formazione, sono confluiti nella nostra manifestazione riconoscendosi nella comune battaglia per i beni comuni, i diritti e la democrazia.

A tutte e tutti coloro che hanno partecipato a questa mobilitazione diciamo grazie e chiediamo di continuare la battaglia per la gestione pubblica e partecipata dell’acqua fino all’effettuazione dei referendum.

L’acqua non si vende. Si scrive acqua, si legge democrazia.

Comitato Acqua Bene Comune Emilia Romagna

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…A PROPOSITO DI ACQUA BENE COMUNE

La questione dell’acqua rappresenta un aspetto fondamentale della strategia di occupazione israeliana nei Territori Palestinesi Occupati, nel Golan, e nella Striscia di Gaza. Il mito sionista di “far fiorire il deserto”, infatti, è attuato impedendo ai Palestinesi di accedere alle risorse idriche legalmente, tecnicamente e fisicamente e creando condizioni che li spingano ad abbandonare le loro terre.

Israele si è appropriato di tutte le risorse idriche ed i palestinesi sono costretti a pagare la propria acqua alla azienda idrica israeliana, Mekorot, a prezzi superiori rispetto a quelli vigenti per gli israeliani. Il consumo medio annuale di un israeliano (357 mc) è quattro volte più elevato di quello di un Palestinese di Cisgiordania (84,6 mc). La Mekorot, rifornisce gli israeliani, compresi quelli delle postazioni militari israeliane e delle colonie, ininterrottamente. I Palestinesi, invece, a causa di interruzioni arbitrarie di erogazione, sono obbligati a fare riserva di acqua piovana e ad usare camion‐cisterna, facendo rincarare il prezzo dell’acqua.

Mentre i coloni israeliani utilizzano l’acqua per piscine, prati e per “far fiorire il deserto”, i palestinesi impiegano l’acqua prevalentemente  in agricoltura. La quantità d’acqua a disposizione degli agricoltori della Cisgiordania è molto inferiore a quella impiegata dai coloni.

I Palestinesi non hanno il diritto di perforare pozzi senza l’autorizzazione militare israeliana, mentre i coloni lo possono fare e sempre più a grandi profondità. Con vari espedienti Israele cerca di sottrarre o distruggere i pozzi palestinesi. Lo stesso tracciato del Muro è stato concepito anche con l’intento di separare i pozzi dalle terre, provocando l’abbandono dei territori e la loro confisca da parte di Israele.

La politica di appropriarsi delle risorse è chiaramente parte del progetto sionista.

Comitato Palestina Bologna